Malditesto

“It” di Stephen King: una rilettura del capolavoro horror del ventesimo secolo

It di Stephen King

“La forza non è più con lei o con lui, ma fra loro.”

La parte più strana del dibattito sulla scelta di Stephen King (o di Beverly?) di cementare l’unione dei Perdenti nel modo che abbiamo tutti letto, è che nessuno si è mai interrogato con lo stesso calore sulla scelta dell’autore di un clown ammazzabambini al centro dell’opera, su quanto fosse immorale e poco edificante, contro la vita stessa, scegliere un killer cannibale di bambini come personaggio chiave di un libro, e per più di mille pagine. Invece le pagine in cui Beverly condivide sé stessa con (nell’ordine) Eddie, Mike, Richie, Stan, Ben e Bill, vengono sempre più discusse man mano che passano gli anni, ed evitate con religiosa cura da ogni trasposizione. Ma se il problema è l’essenza, dato che parliamo di narrazione, come può una cosa naturale come il sesso, diventare qualcosa di corrotto? Quando abbiamo cominciato a vergognarci del sesso, e vergognandoci ne abbiamo perso il controllo. E quando siamo diventati così sofisticati da perdere il diritto sul nostro corpo? Come può qualcosa alla base della vita diventare una forma di corruzione? Significa che la vita stessa è una forma di corruzione? O soltanto che vi è fatalmente destinata? Nel qual caso la vera sfida sarebbe vivere senza alterazione i nostri desideri il più a lungo possibile, senza scambiarli, senza prezzarli, senza pesarli, per preservare la nostra purezza, la nostra verità.

Tuttavia qualcosa va perduto mentre cresciamo, perché l’unico modo per non crescere è morire. Beverly sceglie entrambe le cose, sceglie la sua verità ma anche il registro del cambiamento. Ricordiamo che i Perdenti hanno vinto contro It, ma non la prima volta. Dovevano diventare grandi per affrontare l’ultimo round, e anche questo passaggio che nei nostri anni sembra un boccone così problematico, appare quasi inevitabile. It perde perché non sono più incorrotti? Nella sua dieta a base di innocenza non c’è più posto per dei ragazzini già mezzi adulti (o adulterati)? Oppure avviene un cambio di marcia nella loro consapevolezza, che passa dall’autoaffermazione sessuale? Ma non è che occorra avere un’opinione su tutto, il romanzo esiste in questa forma e questa forma è indiscutibile. Tra l’altro non è che King stesse proprio cadendo dal pero, e per le pagine oggi più controverse del libro scelse un clima nebbioso, allucinatorio e più evocativo che descrittivo, onirico tanto da poter consolare chi volesse guardare dall’altra parte, come fanno gli adulti in tutto il romanzo. D’altronde lo stesso Stephen King, intervistato in merito, rispose: “Affascinante che ci siano stati così tanti commenti sulle scene di sesso e così pochi sui plurimi omicidi di minori [presenti nel libro]. Significa senz’altro qualcosa, ma non sono sicuro di cosa.”

“It” di Stephen King: la paura è un meccanismo di sopravvivenza

it stephen king

“Hanno paura, ma questo non basterà a fermarli.”

L’ultima forma di corruzione è la paura. La paura è un meccanismo di sopravvivenza. Ci fa paura tutto quello che è pericoloso, l’acqua profonda, le altitudini, la velocità smodata. La paura ci serve, ci mantiene in vita. Eppure le paure possono essere irrazionali, e talmente intense da impedire un’esistenza regolare. Cresciamo nel rifugio di una famiglia, di una casa accogliente che ci prepara al mondo che verrà, quello spietato e cruento, quello competitivo. E quando mettiamo piede fuori casa, spesso non siamo pronti per le paure che ci attendono. Alcune paure non riusciamo nemmeno a spiegarle, altre ci cambiano per sempre. Alcune paure, dice King, ci profanano, che è una parola con un significato molto simile alla corruzione. Ed è difficile restare integri, una volta che la prima crepa nel muro delle nostre certezze comincia a intaccare tutto ciò in cui abbiamo bisogno di credere, per continuare ad esistere. C’è un punto sottile tra il momento in cui la paura ci corrompe e vince, e quello in cui vinciamo noi. Alle estremità di quei due momenti, si snodano le due vite che possiamo vivere, e sono due vite completamente diverse. E qualche volta, non sempre, ci viene persino dato il diritto di scegliere.

Avrebbe voluto dire che c’erano cose peggiori della paura. Si poteva aver paura correndo in bicicletta per la strada e scampando per un pelo all’urto con un’automobile; o di prendere la poliomielite, prima del vaccino Salk; si poteva aver paura di quello svitato di Kruschev; o di annegare facendo una capriola nell’acqua. Si poteva aver paura di tutte queste cose e funzionare lo stesso. Ma quello che aveva visto alla Cisterna… Avrebbe voluto dir loro che quei ragazzi morti scesi dalla scala a chiocciola avevano fatto qualcosa di ben peggio che spaventarlo. Lo avevano profanato.

Profanato, già. Era l’unica parola che gli sembrava adeguata, ma loro ne avrebbero riso. Gli volevano bene, lo sapeva, e lo avevano accettato nel loro gruppo, ma ne avrebbero lo stesso riso. Ciononostante c’erano cose non ammissibili. Profanavano il senso dell’ordine di qualsiasi persona sana di mente. Profanavano l’idea fondamentale che Dio avesse dato alla terra un’inclinazione sull’asse, in maniera che il crepuscolo durasse solo dodici minuti circa all’Equatore o si prolungasse un’ora o più lassù, dove gli eschimesi costruivano le loro case di cubetti di ghiaccio.

Che lui avesse così deciso e quindi avesse detto: «Okay, se capirete come funziona l’inclinazione, potrete capire tutto quello che vi pare. Perché persino la luce ha peso e quando la nota del fischio di un treno cade all’improvviso è per l’effetto Doppler e quando un aereo varca la barriera del suono il rumore che si sente non è applauso di angeli o flatulenza di demoni, ma solo aria che crolla per tornare al suo posto. Io vi ho dato l’inclinazione e poi mi sono seduto in una delle file centrali della platea per assistere allo spettacolo. Non ho altro da dire, salvo che due più due fa quattro, che le luci nel cielo sono stelle, che se c’è del sangue lo possono vedere gli adulti bene quanto i bambini e che i bambini morti restano morti».

Si può vivere in compagnia della paura, credo, avrebbe voluto dire se gli fosse stato possibile. Forse non per sempre, ma per lungo tempo, questo sì, ma forse non si riesce a vivere in compagnia di una profanazione, perché essa apre una crepa nel tuo modo di pensare e se tu ci guardi dentro vedi che laggiù ci sono esseri viventi con occhietti gialli privi di palpebre, vedi che c’è una tenebra che puzza e dopo un po’ ti viene da pensare che forse laggiù c’è un intero universo, ma diverso, un universo dove nel cielo sorge una luna quadrata e le stelle ridono con voci gelide e certi triangoli hanno quattro lati e certi altri ne hanno cinque e certi altri ancora ne hanno cinque elevati alla quinta potenza dei lati.

In quell’universo potrebbero crescere rose capaci di cantare. Ogni cosa porta a ogni cosa, avrebbe detto loro se avesse potuto. Andate alla vostra chiesa e ascoltate le vostre storie di Gesù che camminava sull’acqua, ma io, se vedessi qualcuno fare lo stesso, mi metterei a urlare e urlare e urlare. Perché a me non sembrerebbe un miracolo. A me sembrerebbe una profanazione.

Poiché non poteva dir niente di tutto questo, si limitò a ripetere: «Non è la paura, il problema. Io semplicemente non voglio essere immischiato in una faccenda che mi farà finire al manicomio».

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Tenere fuori dalla portata dei bambini

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