“Brucia l’origine” di Daniele Mencarelli: una riflessione per ricordarci chi siamo

La semplicità è una delle cose più difficili da raggiungere. È una frase da tazza, lo so, ma resta comunque valida. Nel mio lavoro gli sviluppatori Junior sono quelli che scrivono codice complicato per realizzare procedure complicate. Più vai avanti con l’esperienza, invece, più punti alla semplificazione. Non perché perdi la capacità di capire le complicazioni, ma perché hai contezza del fatto che non risolvono nulla.
Scrivere spontaneo, evitando di rendere le frasi troppo involute sono consigli ricorrenti nei corsi di scrittura. “Brucia l’origine” di Daniele Mencarelli è così, senza fronzoli. Non solo nella scrittura ma anche nella narrazione. C’è quello che è necessario a veicolare il suo messaggio.
Gabriele Bilancini è un giovane designer che ha trovato la sua fortuna a Milano. Ma è romano fino al midollo, umile come la sua famiglia, fatta di un padre meccanico (di motorini, gli ricorderanno gli amici in un momento di lite) di poche parole, una madre che avrebbe evitato volentieri l’emancipazione del figlio, e una sorella schiva e irrisolta. La storia si svolge interamente a Roma, nell’arco di meno di una settimana, quando Gabriele dopo quattro anni finalmente torna dai suoi. È questo il cuore della storia, il ritorno, a casa, ma anche alle origini, quelle che bruciano nel titolo del romanzo. È a Roma che si trovano la vita passata di Gabriele, i suoi amici, il suo primo amore, la sua storia.
Quello di Mencarelli è un libro dedicato ai quarantenni e a quelli che hanno sacrificato una parte di loro in nome di qualcosa che non li ha ripagati.
È un romanzo da leggere tutto d’un fiato, scorre senza inciampi e sembra giustificarci di una colpa che ci portiamo addosso come un peccato originale.
La vergogna di quello che eravamo, di quello che ancora siamo sotto gli strati ipocrisia e di sofisticazione. La scellerata vergogna che si prova per la propria famiglia, del proprio quartiere, dei propri amici. Quegli amici che scopriamo di disprezzare anche noi. Odiamo la loro immobilità, le loro scuse per restare impantanati, i loro pensieri che sono rimasti gli stessi di quelli che avevamo a quindici anni. È difficile far convivere lo spettro della vergogna che si infila tra la ossa e il calore dell’amore di chi ti vuole bene. Un amore alimentato solo dal fatto di esistere e di aver fatto parte di qualcosa. È anche questo un punto del libro: alcune cose, non potranno cambiare mai.
La nostalgia è un dolore come tutti gli altri: fa patire.
Un dolore senza collocazione preciso, non è come un’ulcera allo stomaco, o un’emicrania, semmai è più simile a una specie di febbre, brucia, spesso fino allo spasmo, senza il bisogno di alzare la temperatura.
Torna a guardare la sua casa, quella dov’è cresciuto, quella che suo padre ha comprato festeggiando l’ultima rata come uno schiavo che si affranca dalla sua condizione.
Non è la nostalgia che molla la presa, ma il senso di colpa a essere più forte.
Un uomo che si vergogna della casa in cui è cresciuto
Nanni Moretti, scornandosi con la dirigenza Netflix perché la sua storia non ha un arco narrativo, e il suo protagonista non cambia a fine romanzo, dice che le persone cambiano solo nelle storie.
Tra l’altro quella dirigenza Netflix (i nostro prodotti sono visti in 190 paesi) potrebbe dire la stessa cosa di questo romanzo, che più che una storia è una microscopica fetta di vita, ma nelle quale si insidia quasi la totalità del suo significato.
Sta tutta qua la poetica di questo libro. La sua riflessione è sia un monito a ricordarsi chi siamo, sia un salvagente per chi se l’è dimenticato. Per noi c’è ancora speranza, per Gabriele Bilancini invece, forse è troppo tardi.
“Brucia l’origine” – Daniele Mencarelli, Mondadori, 2024. Malditesto.