Libri in pillole

“Il rumore che fa la distanza” di Ernesto Pérez Castillo: recensione libro

Nell’immaginario collettivo quando si parla di migrazione spesso si pensa al trasferimento di masse da un territorio a un altro. Spostamenti di gruppi di persone, dunque, all’interno dei quali risulta difficile definire le identità, se non in base a parametri generali come luogo di nascita e provenienza, lingua parlata e colore della pelle. Ma se si utilizza una grossa lente di ingrandimento ci si renderà conto che la massa sopra citata, ovvero il gruppo, è composta da individui, e il termine migrazione, anche semanticamente, perde quel valore di impersonalità che lo contraddistingue assumendo un significato più intimo.

il rumore che fa la distanza di ernesto pérez castilloÈ questa l’operazione che fa Ernesto Pérez Castillo con il romanzo Il rumore che fa la distanza, vale a dire ridurre l’obiettivo della sua macchina da presa letteraria per concentrarsi sul singolo individuo fermo davanti a un bivio decisivo: meglio partire e lasciare dietro di sé luoghi, affetti, abitudini, lingua, quotidianità, certezze, radici, o restare, rinunciando a ciò che potrebbe essere, a ciò che non si conosce ma che si spera sia migliore, a ciò che promette la terra straniera?

“Lavorare stanca. Lavorare significa passare otto ore a impacchettare lampadine in una fabbrica. Lavorare è quello che dovrei fare la prossima settimana a Madrid. Lavorare è esattamente il contrario di quello che voglio fare io. Ed è lavoro ciò che mi hanno promesso. Qui non bisogna lavorare, anche se è importante far finta di farlo. D’altra parte, anche loro fanno finta di pagarti. Ma, se ci pensi bene, non è un cattivo affare. In cambio hai un sacco di tempo libero per te”.

Il protagonista del romanzo è un uomo di trent’anni circa, la cui compagna è già partita in direzione Europa. L’obiettivo è ricongiungersi in una città europea ancora da stabilire. Ecco dunque che l’uomo si ritrova da solo, nella calda e afosa Avana, da un lato a riflettere sul significato della migrazione, dall’altro a fare i conti con le implicazioni sociali e psicologiche della sindrome dell’abbandono: perché non se ne va solo chi parte, ma anche chi resta, privato della routine, delle abitudini, degli affetti, del calore della persona che gli stava accanto e che adesso invece dista migliaia di km. Ed è in questo contesto di totale solitudine, in cui anche l’identità inizia a diluirsi a causa dell’assenza imposta dell’altro, in cui ogni gesto inizia ad assumere una forma quasi meccanica, che l’uomo cerca di adoperarsi per ridurre il rumore di quella distanza che inizia a fare male, insinuandosi sotto pelle e a pungere come le spine.

Il rumore che fa la distanza è un romanzo sulla migrazione, in cui Ernesto Pérez Castillo fa coincidere la storia di vita del protagonista con quella collettiva di Cuba: sullo sfondo, infatti, si respira l’atmosfera della Cuba degli anni 90, attraverso la narrazione di fatti sociali e politici che hanno segnato un’epoca e che, naturalmente, non possono essere separati dal racconto degli eventi personali di chi quella Cuba l’ha vissuta in carne e ossa. È dunque la macrostoria che si amalgama con la microstoria in un libro che, con uno stile asciutto e ironico, non risparmia osservazioni agrodolci sulle contraddizioni di un Paese unico al mondo come Cuba e, con un finale decisamente a sorpresa, tenta di decostruire alcuni stereotipi relativi alla narrazione dell’atto migratorio.

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“Il rumore che fa la distanza” di Ernesto Pérez Castillo, edizioni Efesto. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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