Libri in pillole

“La confraternita dell’uva” di John Fante: l’indimenticabile asprezza di Nick Molise

Ci sono autori che hanno una spiccata abilità nell’utilizzare la penna come una macchina da presa e trasformare ciò che leggiamo in qualcosa che prende forma davanti ai nostri occhi. È come se la narrazione si staccasse dalle pagine per diventare materia animata che attira e trasporta in luoghi e mondi altri che, seppur inizialmente sconosciuti, diventano via via familiari. Con grande disinvoltura, ciò che era lontano diventa improvvisamente vicino: il racconto, i personaggi, i luoghi, che appaiono talmente vividi da sembrare di conoscerli da sempre.


la confraternita dell'uva john fante John Fante dedica questo romanzo al padre, un immigrato italiano di prima generazione che si stabilì negli Stati Uniti dopo aver lasciato l’Abruzzo: ed è un ritratto nitido, senza alcun tentativo di mitigare la figura ruvida di un uomo che, dopo l’abbandono della terra d’origine, dedicò la sua esistenza a lavori duri, umili ma al contempo straordinariamente importanti. Manovale, operaio, muratore, scalpellino: fu grazie a lui che a Sant’Elmo furono costruiti marciapiedi, scalinate, statue, busti, grazie dunque al sudore di quegli immigrati italiani che, tuttavia, rimasero sempre ai margini della società statunitense. Dago, wop, guinea: questi erano i soprannomi utilizzati dagli autoctoni per definire gli italiani che, di conseguenza, si ripararono sempre di più nella loro emarginazione, diventando sempre più duri, schivi, aspri, come aspra era, d’altronde, la loro esistenza.

“Non c’era nessuno che potesse avere a che fare con lui senza litigare. Non gli piaceva quasi niente, in modo particolare sia moglie, i suoi figli, i vicini, la chiesa, il prete, la città, lo stato, il suo paese e il paese dal quale era emigrato”.

Attraverso l’esplorazione del complesso rapporto tra Nick Molise, un padre burbero, testardo e bevitore, e il figlio Henry, uno scrittore che torna a casa per assistere il padre ormai anziano, John Fante dipinge con straordinaria vividezza il microcosmo degli immigrati italiani negli Stati Uniti, mettendo in luce le loro difficoltà sociali e linguistiche, i loro sacrifici, le tradizioni, le tensioni familiari ma anche il loro tentativo di trovare una via di fuga che possa dar loro ristoro, come il vino e il gioco d’azzardo. Il fiasco delle cantine Musso, infatti, diventa il compagno inseparabile del duro Nick Molise, sempre pronto a rifugiarsi nella taverna del Cafè Roma per trovare un angolo di pace, un luogo non ostile nel quale poter abbassare la guardia e ritrovare chi, come lui, non ha mai sperimentato una reale integrazione nel Paese d’arrivo. E poi c’è il gioco, una passione smodata dovuta appunto “al suo furore nei confronti del mondo, al suo desiderio di rivalsa sul sistema” la cui origine risiede esattamente “nel suo sentirsi, in quanto immigrato, un escluso”.

La confraternita dell’uva di John Fante è un romanzo straordinario, scritto con uno stile diretto, semplice, che arriva dritto al punto senza eccessivi e superflui fronzoli, con la schiettezza necessaria per restituire al lettore una fotografia dai colori intensi che ritrae pregi e soprattutto difetti delle relazioni umane, all’interno di un contesto familiare nel quale si percepiscono con forza le spinte dell’eredità culturale, in questo caso italiana, che Fante rappresenta in modo esemplare in ogni personaggio della famiglia Molise. Un libro assolutamente da leggere almeno una volta nella vita.



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“La confraternita dell’uva” di John Fante, edizioni Einaudi. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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