Tempo fa, durante la preparazione di un progetto accademico, mi sono dedicato ad approfondire il tema della migrazione, e una delle analisi che mi è rimasta più impressa è stata quella del Prof Bañon Hernández, che si è occupato dello studio della terminologia utilizzata per raccontare il fenomeno migratorio. L’associazione ricorrente è quella che riporta a eventi climatici di grande impatto (flusso, ondata, etc) che creano un effetto di preoccupazione e di allarme nell’opinione pubblica connotando negativamente l’immigrazione, identificata di conseguenza come un pericolo.
“Eppure i morti quando non c’è occasione di salvarli e quando, come nel nostro caso qui a DF, non c’è stato nemmeno il tempo di vederli vivi, oserei dire nemmeno di immaginarli vivi poiché questi morti sono inumani come un esercito di soldatini di plastica, gemelli in pose che non ci crederebbe nessuno, cadaveri che se fossero vivi morirebbero di crampi dopo un quarto d’ora per la tensione di mirare il niente, quando i morti sono così non sono morti: sono materia che occupa spazio e richiede cure come un vaso di gerani mollato in mezzo al salotto”.
Carnaio di Giulio Cavalli è un libro durissimo, costruito su un climax di cattiveria e di violenza, che racconta come il cinismo sia in grado di disumanizzare un’intera comunità, che si sgretola lentamente e si dibatte tra buonisti e lungimiranti, tra egoisti e pluralisti, tra razzisti cattivi e razzisti buoni, facendo emergere quanto piccolo può essere l’animo dell’uomo e la fine a cui questa pochezza può portare. Un romanzo che affronta una tematica delicata e lo fa senza retorica, ma neanche strizzando l’occhio al lettore, che invece viene colpito, masticato e risputato da una centrifuga di parole in cui emerge tutta l’ignoranza che può essere contenuta all’interno di un solo esemplare di essere umano.
“Carnaio” di Giulio Cavalli, edizioni Fandango. Libri in Pillole.