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“Battiloro“ di Luca Tomao: recensione libro

La vita dell’esordiente è misera. Se scrivere fosse un lavoro come un altro, cominceresti la professione da spiantato e solo dopo dieci o quindici anni potresti dire di sapere la tua. La scrittura però non può permettersi questo percorso: se vi mettessi sotto il naso il libro di chi si è appena affacciato all’editoria, di sicuro storcereste il naso. Sareste aperti alla lettura, ma senza aspettarvi chissà cosa. Senza una fondata raccomandazione, un esordiente ci arriva sotto il naso perché il libro è diventato un caso e ha smesso di avere l’aria del tentativo, o – come nel mio caso – perché qualcuno ti ha chiesto di andarlo a ritirare in libreria.

Recentemente ho letto una doppietta di opere prime nostrane: sulla prima non mi pronuncio – la vecchia scuola del “se non puoi dire niente di gentile è meglio tacere”, ma so che ne hanno tratto una serie tv – e la seconda è dell’esordiente Luca Tomao: Battiloro. Niente tv finora, ma mai dire mai, e in fondo è l’epoca d’oro del fantasy, pare.

E a questo proposito, io che leggo un fantasy? Mai nella vita. Ma il libro ce l’avevo in casa, l’autore ce l’avevo su facebook, e via, cominciamo questo giro di giostra.

Il protagonista

Copertina di Battiloro
Battiloro di Luca Tomao – AliRibelli

Elio è un ragazzino che non riesce a trovare il proprio posto nemmeno in famiglia. Maltrattato dai fratelli, svilito dai genitori, eppure riesce a vedere il mondo come un pozzo di opportunità e di crescita.
Elio è un buono che aspetta il giorno in cui la vita finalmente gli rivelerà chi è, al di là delle sue paure e delle sue insicurezze. Timori su cui la madre si infila ben bene manipolandone le scelte, cercando di proteggerlo a suo modo da un mondo per cui non è pronto (o magari per evitare a se stessa una separazione a cui lei non è pronta). Ad ogni modo è con la madre che Elio riesce ad intavolare il seppur minimo discorso. Ha poche idee chiare Elio, pochi slanci: alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” risponderebbe “qualcosa”. All’inizio del romanzo aspetta ogni ora buca per fare un salto alla Secchia, un laghetto naturale al centro della città che si è formato quando la piazza è sprofondata a causa di un terremoto. Il fiore all’occhiello di Calibae, la sua città natale.

Fabbri di gioie…

C’è solo una cosa che affascina Elio e non smetterà mai di farlo, la vita misteriosa e devota dei Fabbri di gioie, artigiani in grado di produrre amuleti protettivi e per questo indispensabili alla sicurezza dei villaggi. Fabbri tanto ossequiati quanto temuti, mica come il padre di Elio che un fabbro lo è davvero, ma di quelli comuni, e nemmeno tra i più bravi. I suoi lavori sono come delle eterne toppe. I fabbri di gioie invece sono portentosi e vagano per il mondo a protezione delle genti. Ne serve uno in ogni paese, e per un Fabbro che abdica, un altro deve arrivare.

… o Battiloro?

Nonostante la figura del Battiloro (così sono chiamati i fabbri di gioie volgarmente) sia centrale nel romanzo, la narrazione va avanti seguendo la crescita di Elio, il suo esordio da apprendista artigiano che lo costringerà a viaggi freddi e scomodi (tutto pur di evadere dalla tetra bottega di suo padre), la sua prima storia d’amore, fino alla scoperta di un pericolo che incombe da diverse generazioni sulla sua famiglia.

La figura del Fabbro di gioie invece viene svelata mano a mano nelle brevi introduzioni di ogni capitolo. Una narrazione laterale alla storia vera e propria, dosata in modo da sorreggere la principale, dove scopriamo perché i Fabbri sono tanto la speranza quanto la disperazione delle persone. In fondo, i Fabbri, non sono altro che un metro per misurare lo spessore morale di uomo. Se l’amuleto di un Fabbro non dovesse funzionare, la vergogna ricadrebbe dalla parte di chi lo indossava.

Gioie o dolori?

Quello che ho trovato su Battiloro è una consapevolezza narrativa oltre ogni aspettativa. Se è tutta frutto dello scrittore complimenti a Luca Tomao, se invece c’è stato lo zampino dell’editore i complimenti vanno spartiti. La storia compie il suo arco con il ritmo giusto, dosando ogni ingrediente, personaggio, rivelazione, e anche nei colpi di scena si riscontra la giusta cadenza. Ho trovato una prosa equilibrata e senza ostentazioni, né la ricerca dell’effetto in cui è molto facile indulgere agli esordi.

Ho fatto giusto un po’ di fatica a seguire le scene di azione, i momenti di lotta che arrivano verso la fine del romanzo. Qualche elemento più preciso in queste scene concitate avrebbe aiutato a immaginare più chiaramente la scena. Va detto che non sono troppo avvezzo alle lotte soprannaturali; noi lettori siamo pignoli, troviamo sempre che manchi qualcosa se la pagina non ci scorre completamente davanti agli occhi.

Battiloro in fin dei conti, è un romanzo di formazione, dove gli elementi fantastici si limitano da un lato all’effetto protettivo degli amuleti e dall’altro alla minaccia della Janara, una strega del folklore meridionale che fa riferimento agli effetti della “paralisi del sonno”. La Janara con altri nomi e leggende è presente in molte culture nel mondo. Noi marchigiani la chiamiamo Pantafoga o Pantafica, pur ignorandone completamente il background.

Quella di Luca Tomao è una storia in grado di parlare ai più giovani che si potranno appassionare all’evoluzione di Elio e agli equilibri di tutti i personaggi in gioco, e ai meno giovani che troveranno una storia canonica ma centrata. Io – senza rivelare se rientro nel più o meno giovane (la vecchia scuola del tacere) – non ne ho rimpianto nemmeno una pagina.

“Battiloro“ di Luca Tomao, Ali Ribelli Edizioni, 2022. Malditesto.

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