Un faro per la poesia

“Fiori d’azalea” di Kim Sowŏl: recensione libro

Avvicinarsi alla poesia, leggerne i versi, contemplarne i significati creati da parole e figure retoriche esige che si sia disposti a un viaggio empatico in cui il medium per eccellenza sono i sentimenti e le emozioni, più di quanto altre forme letterarie possano richiedere. Questo è sicuramente il caso di “Fiori d’azalea” (진달래꽃), unica raccolta di poesie di Kim Sowŏl (김소월), tra le figure più importanti del panorama letterario coreano e il poeta più amato dai suoi conterranei, come dimostra un sondaggio condotto da Poet’s World nel 2002, il cui risultato è riportato da David R. McCann, tra i massimi esperti dell’opera di Kim, nell’introduzione alle sue poesie nella traduzione in inglese da lui curata, tanto che ogni coreano, si dice, sarà in grado di declamarvi almeno qualche verso di “Fiori d’azalea”, la poesia da cui prende il nome la raccolta.

Ho rimandato più volte la lettura di quest’opera per il timore di non riuscire a comprendere Kim Sowŏl: la grandezza del poeta che mi sarei accinto a conoscere, le vicende della sua vita così travagliata m’imponevano una sorta di reverenza, di rispetto profondo accompagnato da un senso di soggezione che richiedeva una qualche forma di preparazione mentale, un’adeguata disposizione d’animo per potermi avvicinare a questa raccolta e poterla affrontare nel modo più corretto e riguardoso. Così, quando ho girato quelle pagine, l’ho fatto lentamente, soffermandomi (o ritornandovi) quanto il cuore riteneva necessario…

“Fiori d’azalea” è un viaggio nell’intimo di Kim Sowŏl e anche un riflesso dei patimenti provati dal popolo coreano

Un mio professore sosteneva che “nessuno va mai al di là della propria biografia”: quanto spesso mi è tornata in mente questa affermazione percorrendo le pagine di “Fiori d’azalea”! Leggendo della vita del poeta e memori del contesto storico in cui si è trovato a vivere (l’occupazione giapponese della penisola che ha prodotto scempi inenarrabili nei confronti del popolo coreano), si riescono infatti a identificare con facilità i temi di cui la sua poesia parla (l’amore e il dolore a esso associato, la perdita, la separazione, la solitudine, la nostalgia e il ricordo, la tristezza, l’afflizione personale e, come messo in evidenza da alcuni critici, il riferimento a quella patita dal suo popolo); questi temi trovano nelle poesie di Kim Sowŏl parole troppo evocative per non poter essere anche immaginifiche. Eppure…

Più si leggeranno le poesie racchiuse in “Fiori d’azalea”, maggiori saranno i dubbi e le interpretazioni che esse solleveranno

Eppure, nella nitidezza dell’immagine che ci si presenta, sembra talvolta celarsi qualcosa di non rivelato, ma percepibile, qualcosa che trova spazio e si insinua nella nostra mente e a cui desideriamo ritornare come nel caso di una domanda senza risposta. Ecco perché la raccolta di poesie “Fiori d’azalea” «lascia nei lettori il desiderio di ritornare a leggerla ancora e ancora», come scrive Imsuk Jung nella Prefazione. Per la poesia di Kim, in generale, vale il principio che più la si legge, maggiori saranno i dubbi che si solleveranno e tante saranno le interpretazioni che i versi solleciteranno a seconda dell’occhio (anche lo stesso, ma mutato col tempo) che su di essi si posa; come è accaduto, per esempio, proprio con i versi di “Fiori d’azalea”:

Se ti stancherai di me

E deciderai di andare

In silenzio io ti lascerò partire

A Yŏngbyŏn sul monte Yaksan

Vestirò il cammino tuo

Dei fiori d’azalea raccolti.

E tu passo dopo passo andrai

Calcando lievemente

Quei fiori lì disposti

Se ti stancherai di me

E deciderai di andare

Pur morendo io non verserò una lacrima.

Come scrive McCann in un articolo dedicato al suo significato, è nella costante relazione tra il poeta e il lettore, mediata dai quei memorabili versi, in questa dimensione che travalica lo spazio-tempo, che «la poesia assume la sua forma»; così, grazie a queste “forme” molteplici, legate a quella relazione particolare e momentanea, vengono a generarsi interpretazioni tra le più varie, senza che si possa decidere quale è quella più corretta. Il risultato di tutto ciò è una coesistenza di punti di vista che non fa altro che mostrare il potenziale creativo – in senso letterale – della poesia di Kim Sowŏl.

Altre ragioni per ritenere moderna la poesia di Kim Sowŏl

Kim Sowŏl
(Fonte: https://poetassigloveintiuno.blogspot.com/2012/05/6797-kim-sowol.html)

Oltre ai temi, e soprattutto al modo in cui li esprime, a rendere moderna la poesia di Kim è qualcosa di strettamente legato alla sua lingua: il coreano. Con la traduzione, naturalmente, si perdono alcuni elementi che, per l’appunto, pure hanno concorso a riconoscere come innovativa la sua poesia: dalla struttura, che ricalca quella dei minyo, soprattutto nella forma degli arirang, canti del folklore coreano, sino all’uso di un linguaggio che, come ricorda Imsuk Jung, «a quei tempi si sarebbe definito colloquiale»; per quanto a noi, che non conosciamo la lingua, sfuggano questi aspetti, non dobbiamo dimenticare che hanno portato una rivoluzione nella poesia coreana stessa, facendo assurgere Kim Sowŏl tra i padri – se non: a padre – della poesia moderna coreana.

“Fiori d’azalea”: perché “nessuno va mai al di là della propria biografia”

Imsuk Jung riporta di come McCann sia incline a definire la raccolta “Fiori d’azalea” come «una serie di eventi che raccontano e racchiudono una storia». Ed è vero: io credo sia la storia di un cuore afflitto che, in ogni componimento, ci dischiude alle fasi e ai moventi della sua afflizione (tra i quali il suicidio della sua amante); la storia di un’anima troppo sensibile e della sua progressiva perdita della capacità di sognare e di sentirsi adeguato a vivere, come traspare già dai primi versi di una delle poesie dalla bellezza malinconica, tipica di Kim, – “Ché tanto in vita nostra meta è morte” – che recitano:

Svariate volte al giorno mi domando

Per quale cosa al mondo intendo vivere?

E mai ho saputo dare una risposta

E così, a causa di questo “male di vivere”, di questa malinconia inconsolabile, di questo «silenzio austero / che gli uomini hanno dentro», Kim si toglie la vita con una dose eccessiva di oppio nel 1934, a soli 32 anni. Forse, nei suoi ultimi istanti di vita, potranno essergli venuti in mente questi versi della poesia “Senza titolo”:

Scenderà presto il buio e così, lentamente,

Sarà ciò che in passato fu detta la notte

mentre i fumi dell’oppio lo accompagnavano dolcemente verso la fine che per sempre avrebbe colto quella primavera vissuta un tempo tra i fiori d’azalea e ormai eternamente avviluppata, appunto, da «ciò che in passato fu detta la notte»…

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Fiori d’azalea” di Kim Sowŏl, edizioni Orientalia Editrice. Un faro per la poesia

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