Il dolore divide. Ti mura e ti muta. Il distacco verso la vita, verso le cose di fuori, racchiude un male devastato dal silenzio, dalla paura. Ti rende muto. Parlare è un peso, non ne hai voglia. La sofferenza ti toglie le parole. Pensi che non servano a nulla, che sia inutile metterle in fila per spiegare ciò che ti mangia dentro. Il tormento ti spezza. Il dolore non si può raccontare. Si vede, si scorge.
In Tutta la vita che resta di Roberta Recchia entri in una storia agghiacciante, Marisa e il marito Stelvio si innamorano nella bottega del sor Ettore, il padre di lei. La loro è una storia d’amore felice. Poi, un giorno tutto cambia. La figlia Betta, sedici anni, viene stuprata e uccisa. Da quel momento ogni cosa perde il suo ordine. Il dolore si impossessa della famiglia che, nella tragedia, si dimentica di Miriam, la cugina della giovane vittima. Miriam si porta dietro e dentro il segreto di quella notte. Da sola cerca di stare a galla. È difficile e non ce la fa. Il dolore e ciò che ha subito sono attaccati alla pelle, alla mente. Sino a quando arriva la speranza, se pur pallida. Si chiama Leo, un ragazzo di borgata, che diventa l’inizio di un nuovo tutto.
Il romanzo è serrato, strepitoso. La storia è forte, toccante. Il lettore avverte su stesso tutto il dolore delle protagoniste e non vuole disturbare con il suo fiato le parole che si fanno roccia, vento, sofferenza ed amore. La scrittura è magnetica.
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“Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia, edizioni Rizzoli. Dream Book.