Il giovane Gilles Mauvoisin sbarca a La Rochelle con un pastrano lungo fino ai piedi e un buffo cappello di lontra in testa. Viene da lontano, da Trondheim, da una vita raminga fatta di privazioni e di alberghetti per artisti, ha viaggiato in compagnia della morte e con la sua allampanata e pallida figura pare volerla incarnare con un giorno d’anticipo.
“Il viaggiatore del giorno dei Morti” di Georges Simenon
Così Gilles finisce per incarnare la figura di un novello Don Chisciotte che vaga smarrito e solitario nelle nebbie umide di salsedine di una Mancha atlantica, accompagnato dal folle amore per un’eterea e sfuggente Dulcinea, e accudito teneramente dalla figura di Jaja, imponente icona popolare e cartina tornasole della miseria spirituale di borghesia e nobiltà, unico personaggio ad agire per bontà d’animo in una congerie di interessi riuniti addirittura in sindacato.
Quasi una favola, in cui la pecora sarà costretta a farsi lupo per sopravvivere nella terra dei lupi e a scoprire che, chi appartiene alla razza delle pecore e ne possiede la mitezza, del lupo potrà solamente sopportarne il pelo e indossarne la solitudine.
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“Il viaggiatore del giorno dei Morti” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo