Essere quello che si è, una libertà che non tutti hanno. Restare incastrati nelle regole dettate da leggi antiche, che si insinuano in ogni anfratto dell’esistenza, è un danno vissuto come un castigo se siffatte leggi umiliano, offendono e sminuiscono le donne. Si cambia, quindi, per ricominciare. Si mette un punto e si riparte, diverse. Vivere significa addirittura sopravvivere a certi sistemi maschilisti, di patriarcato feroce. Se non ti adegui, perché non vuoi finire in quel cerchio senza via d’uscita, mantieni ferrea l’unica cosa preziosa che ti resta: la dignità.
In Colei che resta di René Karabash pensi di essere finito in una favola, in un mito. Non è così. Quella che la scrittrice racconta è la storia di una parte dell’umanità. In un remoto villaggio sulle montagne dell’Albania, la giovanissima Bekià è segretamente innamorata di una ragazza bulgara, ma è destinata a sposare un uomo. Nella zona dove abita vige ancora la legge del Kanun, antiche norme patriarcali, che mette le donne in uno stato di totale inferiorità. Il loro valore si misura in buoi ed i conti tra gli uomini si regolano con il sangue. Bekià decide di sottrarsi al matrimonio nell’unico modo possibile: fare voto di castità diventando una vergine giurata. Prende il nome maschile di Matja e con la sua scelta porta la famiglia alla distruzione.
Il romanzo è feroce nella sua potenza. La narrazione è viscerale, lascia il lettore intontito per la forza della scrittura e dei pensiero che rende il racconto un risveglio di risonanze e di immaginazioni.
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“Colei che resta” di René Karabash, edizioni Bee. Dream Book.