Leggere “Voragine” di Andrea Esposito, sua prima opera e finalista alla XXX edizione del Premio Italo Calvino, è come trovarsi immersi nel silenzio che colma una nebbia densa e lattiginosa permeante ogni cosa e in cui ogni cosa è indistinta, sfuggente, in cui ogni cosa risulta liquida e inafferrabile quanto il senso di ciò che è accaduto, di ciò che accade.
“Voragine” o la fenomenologia di una Roma trasfigurata e post-apocalittica
La ‘formazione’ di Giovanni, protagonista di “Voragine”
Graduale è stata anche la formazione di Giovanni, il protagonista di questo romanzo – opera che è stata infatti definita nella scheda di presentazione dedicatagli da Il Saggiatore anche come «l’endoscheletro di un romanzo di formazione». Giovanni è un bambino, all’inizio del libro, che vive con il padre e il fratello in una baracca vicino a un acquedotto romano e a una ferrovia; costretto a lasciare la ‘casa’ paterna, sperimenterà gradualmente solitudine, freddo, fame e malattia – insegnanti rudi – che lo accompagneranno nel suo ruolo involontario di cicerone e testimone di questa «Roma trasfigurata», per dirla con le parole dell’autore. Giovanni, in questa Roma aperta, violenta e irriconoscibile, lo osserviamo vagare in essa comprensibilmente spaesato e sempre all’erta, quasi come se fuggisse da qualcosa…
Un binomio sembra informare la vicenda di “Voragine”: quello tra il male e la pietà

(Fonte: www.facebook.com)
Ora, nonostante il male che lo attornia (a partire dal padre violento, autoritario, poco loquace e ubriaco), Giovanni è ancora in grado di usare pietà. Andrea Esposito ha detto infatti che questo libro «è una riflessione sulla pietà». La pietà che usa Giovanni è quella del silenzio. Di fronte all’indicibile violenza che trasuda sin dalla terra arida e brulla e che infetta ogni cosa e ogni cosa sfigura, le spiegazioni sono vuote e complici; solo il silenzio è giustificato, come atto che consente di non invischiarsi in quella stessa violenza, si voglia anche solo con spiegazioni che mirino a darle un senso, a razionalizzarla; un silenzio che attesta un distacco, un rifiuto di quella malvagità; un silenzio che è appunto una forma di pietà per quello che è accaduto, accade, per la condizione che l’essere umano si trova a vivere.
Lo stile di Andrea Esposito accentua l’inquietudine generata dalla storia che nel suo libro viene raccontata
Leggere quest’opera è un’esperienza che ti turba, e lo stile di Andrea Esposito accentua un’inquietudine che non puoi non provare: quasi rarefatto, con un tempo presente che attanaglia, che ti getta in mezzo alla desolazione e allo sfacelo che connota quella Roma così orribile e sinistra, esso ben supporta dialoghi e descrizioni che riescono a renderci, così, astanti consapevoli di uno scenario freddo e vuoto come un paesaggio lunare e desolato e crudo come una bolgia infernale che abbia preso dimora sulla Terra.
Andrea Esposito e il suo libro sono esempi di buona letteratura
Insomma, “Voragine” è un’opera prima molto interessante che mette in luce uno scrittore dallo stile riconoscibile. A testimonianza che, ci fosse bisogno di ricordarlo, il panorama letterario italiano non è come la Roma con la quale abbiamo a che fare nel romanzo – vuota e misera –, ma è pieno e florido, e in questo caso in grado anche di fornire un esempio di buona letteratura.
“Voragine” di Andrea Esposito, edizioni Il Saggiatore Editore. A voice from apart.