A voice from apart

“De Profundis” di Oscar Wilde: recensione libro

È a una lunga lettera, scritta in una cella del carcere di Reading, che Oscar Wilde affida tutto ciò che alberga nelle più nascoste profondità del suo Io, della sua anima. Il destinatario è “Bosie”, ossia Lord Alfred Douglas, amante e amico di Wilde nei 4 anni che precedettero l’incarcerazione del grande artista irlandese dopo il processo per omosessualità che lo vide coinvolto.

Il doppio ruolo che Oscar Wilde assume nella stesura del “De Profundis”

Diciamo subito una cosa: in questa lettera Wilde assume un duplice “ruolo”: quello dello “schiavo d’amore”, come afferma nell’Introduzione Jacques Barzun, e quello del critico d’Arte. Perché? Perché è stato tradito da Bosie e, per causa sua, «umiliato e disonorato», ma, se è vero che, come dice lo stesso Wilde, «facevo dell’arte una filosofia e della filosofia un’arte», cosicché «trattai l’Arte come la suprema realtà e la vita come una forma di invenzione artistica», allora non ci si deve stupire se, analizzando come è andata conducendosi la propria vita in quei quattro anni, Wilde, forte del suo ruolo di critico d’Arte, ne abbia messo a nudo ogni aspetto in modo così minuzioso e con tale valentìa che esperiamo la stessa amarezza, lo stesso avvilimento, lo stesso scoramento che trasuda da ogni pagina di questa lunga e sofferta epistole e che hanno accompagnato, come presenze ingombranti ma necessarie, la mano, le lacrime, lo sforzo emotivo, intellettuale e fisico di Wilde nello scriverle.

Il critico, d’altronde, deve avere immaginazione, come l’artista: Wilde spesso usa questo termine, che non inerisce però alla capacità inventiva, bensì alla capacità di penetrare, di andare in profondità alle cose, di non fermarsi al fenomeno. Ed è proprio facendo uso dell’immaginazione, ne sono convinto, che Wilde giunge a scrivere il “De Profundis” – titolo che verrà dato dopo la morte di Wilde e alla sua pubblicazione.

L’esperienza del carcere e i frutti degli alberi che si trovano sul lato «dell’ombra e dell’oscurità»

In una parte piuttosto cospicua della lettera, Wilde chiarisce come l’esperienza del carcere lo abbia costretto ad «assaggiare i frutti di tutti gli alberi del giardino del mondo» che si trovano sul lato opposto a quello «soleggiato» (e a lui più noto), ossia il lato «dell’ombra e dell’oscurità.» I frutti di questi alberi sono il dolore, la sofferenza, il fallimento, la vergogna, la povertà, la disperazione, «le lacrime, le parole rotte che lo strazio ci strappa di bocca, il rimorso che ci fa camminare sulle spine, la coscienza che condanna, il tormento che si copre il capo di cenere, l’angoscia che si veste di sacco e versa il fiele nella propria bevanda.»

Il ruolo del Dolore nel “De Profundis” di Oscar Wilde

Così, è proprio il Dolore che consente, tra tutti i sentimenti, e attraverso la sofferenza che da esso scaturisce, di «discernere ciò che non si è mai stati capaci a discernere», di capire quali sono state le proprie responsabilità, le proprie “colpe” – l’essere stato troppo buono e accondiscendente con Bosie, secondo Wilde. «Ora capisco», aggiunge Oscar Wilde, «che il Dolore, essendo la suprema emozione di cui l’uomo è capace, è insieme il modello e il banco di prova di tutta la grande Arte. […] La verità nell’Arte è l’unità di un oggetto con se stesso; l’aspetto esteriore esprimente l’interiorità; l’anima incarnata, il corpo infuso di spirito. Per questa ragione nessuna verità è paragonabile al Dolore. Vi sono momenti in cui il Dolore mi appare come l’unica verità. Altre cose possono essere illusioni dell’occhio o degli appetiti, fatte per accecare quello o nauseare questi, ma dal Dolore sono stati creati i mondi, e alla nascita di un bimbo o di una stella assiste la sofferenza. […] Adesso mi sembra che una qualunque forma di Amore sia la sola spiegazione possibile della massa enorme di sofferenza che esiste nel mondo. Sono convinto che non ve ne sia altra e che, se come ho detto, dal Dolore sono stati creati i mondi, ciò è avvenuto per mano d’Amore, perché in nessun altro modo l’anima dell’uomo, per il quale furono creati i mondi, poteva raggiungere il grado massimo di perfezione. Il Piacere è per il bel corpo, ma la Sofferenza per la bella anima.»

La stesura del “De Profundis” è stata per Oscar Wilde un’esperienza catartica

Oscar Wilde
(Fonte: www.it.wikipedia.org)

Tutto questo, Oscar Wilde, lo scrive a Bosie. Si potrebbe credere, e in effetti appare proprio così, che l’autore de “Il ritratto di Dorian Gray” glielo scriva affinché Lord Alfred Douglas possa comprendere  che cosa ha fatto e che cosa non ha fatto ma avrebbe dovuto fare, se effettivamente era l’Amore il legame che li univa, ma io non credo che sia questo l’intento della lettera, non credo che il tono della lettera sia educativo. Essa ha più un tono catartico, per Wilde stesso è perciò utile: in un passo afferma che il suo più grande errore non è stato quello di essere stato un individualista, uno che pensa solo a sé stesso, come, al processo, lo hanno accusato di essere stato nei riguardi del “povero fanciullo” (Bosie), bensì di non esserlo stato abbastanza. Questa fiumana dolorosa di parole che fuoriesce dall’amante ferito, dallo “schiavo d’amore” gli dà l’opportunità di scoprire finalmente chi è autenticamente. E questo – è così evidente leggendo la missiva! – è qualcosa che è precluso a Bosie, non è alla sua portata, perché, ed è una frase che compare esattamente cinque volte nell’intero testo ed esattamente come viene riportata, «il vizio supremo è la superficialità. Tutto ciò che è vissuto fino in fondo è giusto.» Lord Alfred Douglas è sprovvisto di immaginazione, ne è privo, e ciò gli impedisce di vedere oltre le vicende che sono capitate a lui e a Oscar Wilde, il suo amante e amico, di modo da coglierne una lezione, ma ciò gli impedisce anche di guardarsi dentro con profondità: e come potrebbe, se «l’Odio [acceca] i [suoi] occhi, la Vanità [cuce] insieme le [sue] palpebre con una gugliata di ferro»?

Come l’immaginazione riesce a far «diventare un uomo più profondo»

L’immaginazione, tuttavia, non è mancata a Wilde che, nel volere ridistribuire ai legittimi proprietari le legittime responsabilità e nel compiere un esame di coscienza eroico, perché gli ha richiesto di mettersi a nudo in primis di fronte a sé stesso, con il cuore infranto, lì, pulsante tra le mani tese a mostrarne i frammenti raccolti, al fine di andare avanti, di perdonare quell’ingrato amante, l’ha usata per diventare un uomo più profondo, perché «diventare un uomo più profondo è il privilegio di chi ha sofferto; e tale credo sia il mio caso.»

Quali parole servono ancora per convincervi della bontà di questa lettura?

“De Profundis” di Oscar Wilde, edizioni Giangiacomo Feltrinelli Editore. A voice from apart.

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