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“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead: recensione libro

La ferrovia sotterranea, Colson Whitehead, Premio Pulitzer 2017. Se un libro è un buon libro, dovrebbe offrirci la possibilità di scoprire alcune cose… specie quelle che avremmo preferito non scoprire mai.

Conoscete la data di nascita del vostro forno a microonde? …ovviamente no, è una cosa.

Ritenete di aver recato danno a un romanzo marchiandolo in modo indelebile con un ex-libris? …ovviamente no, è una cosa.

Turberebbe la vostra digestione veder bruciare un mucchio di foglie secche mentre fate un picnic con gli amici? …a meno che il vento non tiri dalla vostra parte, credo proprio di no.

Qualcuno troverà, e non a torto, quest’inizio di recensione del tutto anticonvenzionale, ma è solo un escamotage per farvi notare che non penetrerete mai il durissimo nocciolo di questo romanzo senza comprendere che qualcuno è stato la cosa di qualcuno e che, forse in futuro, qualcuno potrebbe ridiventare la cosa di qualcun altro.

La Via Crucis di Cora, fuggiasca dalla morte bianca come la madre, è articolata in stazioni di dolore e stazioni ferroviarie. La cosa potrebbe inizialmente trarre in inganno il lettore nostrano che, a differenza di quello statunitense, magari non conosce la realtà storica della Ferrovia Sotterranea, ma è necessario ricordare che Colson Whitehead si limita a posare binari immaginari, a regalare consistenza onirica alla rete clandestina di abolizionisti che aiutavano gli schiavi a raggiungere la libertà, mentre quello che al lettore apparirà come incubo truculento è tutto storicamente documentato, appena dilatato rispetto alla realtà, a futura memoria della disumanità dell’umanità.

La narrazione, concordo con la casa editrice, si carica delle atmosfere lugubri dei western di Tarantino, ma rimaniamo molto lontani dalla narrativa commerciale, come attestano il National Book Award e il Premio Pulitzer attribuiti al romanzo e, stazione dopo stazione, ci avviciniamo al capolavoro, come confermano la critica più autorevole e gli “endorsement” planetari di Barack Obama e Oprah Winfrey.

Possiamo provare empatia per le sofferenze di Cora? Certamente sì, ci si augura, ma come appartenenti alla razza dominante possiamo davvero fare nostre le sofferenze di Cora? Alcuni di noi, se sono stati discriminati per motivi diversi dal colore della pelle, meglio di altri, possono provarci, ma temo che molti preferiranno ignorare le similitudini con quello che accade ai nostri giorni e che i re/regine, del “tua culpa affolleranno di nuovo i parrucchieri”.

Pagine terribili e affilate, tagliano dita e anima nel voltarle, le consiglio solo a chi si senta in grado di sopportarne le cicatrici, perché le cicatrici non sono rimaste solo sulla schiena di qualcuno, ma anche e soprattutto sui discendenti di chi reggeva la frusta.

“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead, edizioni Sur. I libri di Riccardo

Riccardo Gavioso

Nasce a Torino nel 1959, dove si laurea in Giurisprudenza. Ma ormai incerto su chi fossero i buoni e i cattivi, e pur ritenendo il baratto una forma di scambio decisamente più evoluta del commercio, da allora è costretto a occuparsi di quest’ultimo. Inevitabile, quindi, che l’alienazione professionale lo spinga tra le braccia di una penna e che la relazione, pur tra alti e bassi, si protragga per diversi anni. Poi, deluso in egual misura da quel che si pubblica e da quel che non si pubblica, smette di scrivere narrativa e si occupa di giornalismo collaborando con diverse testate di rilievo e creando un blog che arriva a incuriosire diecimila lettori al giorno. Torna alla narrativa con Arpeggio Libero con cui pubblica attualmente. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per i suoi racconti. Nel 1997 è stato finalista al Premio Internazionale di Narrativa “ Il Prione ”.

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