Sussurri tra le pagine

“Donne che pensano troppo” di Susan Nolen-Hoeksema: recensione libro

Mettersi costantemente in discussione, accollarsi colpe che non sono le proprie, lasciarsi inghiottire dal gorgo delle insoddisfazioni reiterate, sentirsi responsabili dei sentimenti e del benessere altrui, prendersi cura di altri a discapito di sé stesse, perdersi continuamente tra le reminiscenze, le delusioni, le ferite, le parole, la rabbia, ed infine, restare impigliate nella rete dei mille pensieri che si replicano all’infinito, fino a ritrovarsi stremate. Partendo da questi presupposti comuni, con “Donne che pensano troppo”, Susan Nolen-Hoeksema, docente specializzata in psicologia femminile e depressione, rivelò le dinamiche che rendono vittime (le donne soprattutto) di sé stesse e della propria ruminazione.

Chiaramente la proposta dell’autrice non è quella di smettere di pensare alle difficoltà della vita o di
evitare di affrontarle, ma piuttosto, di imparare a riflettere con lucidità evitando “l’effetto lenti deformanti della ruminazione (che) ci mostra i problemi solo dalla prospettiva più sconfortante.”. Per cui, di fronte ad un trauma emotivo, il suggerimento “non è di superarlo ma di attraversarlo, di compiere il percorso che il trauma o la perdita ci mettono davanti.”

“Donne che pensano troppo” non va inteso come un manuale di autoaiuto, ma può risultare fortemente illuminante oltre che di grande sostegno al lettore, chiarendo meccanismi, spesso naturali o inconsci, di cui si potrebbero ignorare le dinamiche. E se la conoscenza è potere, allora l’autrice mette a disposizione una spiegazione fruibile e costruttiva di ciò che la mente può elaborare in occasioni differenti se sottoposta al peso di una rielaborazione costante, offrendo, inoltre, un confronto diretto con storie di vita reali, in cui, spesso, è fin troppo semplice riconoscersi.

Il fatto che Susan Nolen-Hoeksema presti particolare attenzione alla sfera femminile ed ai forti coinvolgimenti emotivi di cui le donne tendono a diventare vittime inconsapevoli, non esclude l’applicabilità degli studi anche agli uomini, che risultano, però, generalmente, meno sacrificati alla pratica della ruminazione, oltre che meno tendenti a sviluppare conseguenti stati depressivi. Che questa predisposizione sia innata, genetica, fisica, ormonale o del tutto casuale, non è noto. Di certo influisce un forte condizionamento sociale ed un’eredità trasmessa, che fonda l’immagine della donna su un ideale di cauta, emotiva e composta sensibilità, privando, spesso, anche dell’inalienabile diritto di essere semplicemente arrabbiate. “Le donne sono particolarmente inclini a chiedersi se hanno il diritto si sentirsi arrabbiate (…). Nel profondo, molte di noi si sentono male quando esercitano questo diritto perché significa violare regole interpersonali che abbiamo interiorizzato senza esserne consapevoli: non dobbiamo mai fare arrabbiare nessuno e dobbiamo piacere a tutti.”

Insistendo sulla tendenza delle donne di sacrificare troppo sé stesse nel rapporto con gli altri (cosa che le porta sempre più lontane dalla propria soddisfazione personale come soggetti autonomi piuttosto che come parte di una relazione da curare) l’autrice, presenta situazioni emotivamente complesse come la ruminazione derivata dal lutto, che si scontra, inevitabilmente, con i tempi socialmente accettabili entro i quali, il trauma, dovrebbe potersi ritenere superato. Tempi, che difficilmente coincidono con la realtà di chi vive la perdita e che obbliga a soffocare un dolore, ritenuto ormai stantio, per non risultare inappropriate. Questa privazione emotiva, si traduce spesso in un abisso popolato solo da lunghi silenzi e urla soffocate, allo scopo di preservare, in primis, il benessere e la serenità dell’ambito familiare. Si tratta della “trappola in cui finiscono molte donne: continuare a sacrificarsi per rendere felice la famiglia, provare risentimento per i sacrifici che si stanno facendo, ma non riesce a spezzare il circolo vizioso poiché le aspettative degli altri sono diventate le proprie”.

Buona parte del volume è dedicata alle strategie utili per liberarsi della ruminazione e quindi dal flusso di pensieri esclusivamente negativi che producono l’immagine di una vita opprimente e priva di soluzioni, finendo per “alimentare un incendio che diventa incontrollabile”, che spesso finisce per esplodere come malessere psicofisico, con attacchi di panico o di ansia incontrollata. L’autrice suggerisce, perciò, dei processi per attuare un cambiamento, un accrescimento interiore e più egoista, ma anche strategie per perdonare e perdonarsi senza rimorsi, così da raggiungere maggiore sicurezza e, di conseguenza, il giusto controllo sul proprio futuro. “Aspettare di essere salvate dalla nostra infelicità è garanzia di prolungarla. Abbiamo sostanzialmente due scelte: imparare a convivere con le circostanze attuali o cambiarle.”

“Donne che pensano troppo” non è un libro tecnicamente complesso, ma abbastanza vero da risultare a tratti difficile da metabolizzare. Un manuale che mi sento di consigliare soprattutto perché il suo fine ultimo, è, a mio parere, splendidamente riuscito: condurre verso una rinnovata autoconsapevolezza, una conoscenza interiore per capirsi meglio ascoltando la voce propria ed escludendo quelle che, invece, non ci appartengono, imparando, così, a sfuggire da quella che la psicologia definisce “la tirannia dei doveri”. “Spesso le voci che noi donne sentiamo ci dicono che dobbiamo essere carine con tutti, assicurarci che tutti siano felici e che dobbiamo mantenere le nostre relazioni a ogni costo. Quando qualcuno che ci sta vicino è turbato, tendiamo a pensare: cos’ho fatto di sbagliato? Come posso rimediare? Facciamo le acrobazie perché i nostri partner, figli, genitori, colleghi siano felici. Ci prendiamo a calci per averlo fatto, dopodiché ci ricadiamo di nuovo.” 

È difficile ascoltare la nostra voce calma che esprime le sue opinioni, in mezzo al trambusto. Eppure, se non iniziamo ad ascoltarla, non saremo mai capaci di mettere da parte i messaggi negativi imposti dagli altri.

“Donne che pensano troppo” di Susan Nolen-Hoeksema, edizione Pienogiorno.

Sussurri tra le pagine per The BookAvisor.

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Angela Finelli

Classe 1987. Nata a Napoli, tra i vicoli e l'odore del ragù lasciato a "pappuliare" a fuoco lento già dall'alba. Amante dei libri da sempre, della buona cucina e delle mete insolite. Dipendente dal caffè, dalle risate spontanee e da quella punta di follia che rende la vita imprevedibile. Fiera sostenitrice del potere delle parole e dei sussurri nascosti tra le righe, quelli che lasciano un'impronta nella memoria e i brividi sulla pelle.

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