Centenario Italo Calvino

“Lezioni Americane” di Italo Calvino e la conferenza dedicata alla visibilità

Vorrei dare il mio contributo all’iniziativa partendo da un testo tra i più discussi e criticati. Si tratta delle “Lezioni americane”, edite postume nel 1988 dalla casa editrice milanese Garzanti, con una nota introduttiva di Esther Calvino. Le sei conferenze si sarebbero tenute ad Harvard nell’anno accademico 1985-1986, in occasione delle “Poetry Lectures” in onore di Charles Eliot Norton, e Italo Calvino scelse di trattare alcuni valori letterari da mantenere nel corso del terzo millennio, da cui lo separavano quindici anni. Le lezioni che aveva in mente erano in realtà otto, due in più di quelle richieste, ma completò la stesura dei testi per cinque conferenze, mentre la sesta sarebbe stata preparata direttamente ad Harvard.

lezioni americane italo calvinoIl lavoro non aveva un titolo in italiano: l’autore le aveva intitolate “Six memos for the next millennium”. Il titolo “Lezioni americane” è legato alla domanda che Pietro Citati gli poneva quando andava a trovarlo durante l’ultima sua estate: “Come vanno le lezioni americane?” Esther Calvino decise dunque per questo titolo, accompagnato da “Sei proposte per il prossimo millennio”, ma specificò che, nella ricerca di un adeguato titolo in inglese, l’unica espressione mai cambiata, e di cui Italo Calvino era dunque convinto, era “for the next millennium”. Già a partire dalla storia della pubblicazione postuma e del titolo, si può ipotizzare che l’autore ne avrebbe fatta una revisione, prima di dare il lavoro alle stampe, comprensivo della sesta conferenza il cui testo non fu mai scritto. Esther Calvino ritiene che per le cinque edite non ci sarebbero stati sostanziali cambiamenti.

Si tratta di un testo discusso, oggetto di critiche, anche condivisibili sotto certi aspetti, avanzate anni fa da Claudio Giunta. Delle “Lezioni” furono contestati un certo uso di aforismi e citazioni, in sostituzione di argomentazioni serrate, alcune forzature nell’interpretazione di alcuni testi di supporto al ragionamento, ma soprattutto fu messo in discussione il metodo di Calvino nelle “Lezioni americane”, per le implicazioni che avrebbe avuto sulla critica letteraria contemporanea, cioè una certa tendenza ad un’argomentazione non rigorosa ma allusiva. La premessa è per dire che, pur rendendomi conto che non si tratta di un’opera universalmente apprezzata, scelgo in modo arbitrario di rileggere proprio alcune parti di questa per un gusto personale, per alcune suggestioni interessanti, perché amo Calvino dalle mie prime esperienze di lettura e perché subisco il fascino della sua scrittura versatile, innovativa e comunque incisiva sia nelle pagine ritenute perfette all’unanimità, sia in quelle imperfette (anche nel senso di incompiute) che hanno sollevato discussioni comunque sempre proficue.

La conferenza di cui vorrei rileggere alcuni passaggi, in particolare, è la quarta, dedicata alla Visibilità. Calvino inizia con una citazione dal canto 17 del “Purgatorio” dantesco: “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”, laddove Dante tenta di delineare il valore dell’immaginazione nella sua opera, il ruolo “della parte visuale della sua fantasia”. Prosegue definendo due processi dell’immaginazione: quello che dalla parola fa scaturire l’immagine visiva e quello che dall’immagine visiva arriva all’elaborazione verbale. Attraverso riferimenti al cinema, agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e all’arte sacra nel clima controriformista approda al problema se l’aspetto visivo rappresenti una fase prioritaria rispetto alle parole nell’elaborazione letteraria. L’autore presenta dunque le due vie attraverso cui Jean Starobinski ha definito l’idea di immaginazione: una forma di comunicazione con l’anima del mondo o uno strumento di conoscenza funzionale anche alla ricerca scientifica. E qui Calvino apre al lettore la sua officina letteraria, spiegando come nel filone fantastico degli antenati, “all’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale” e ancora “Dunque nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. […] Nello stesso tempo la scrittura, la resa verbale, assume sempre più importanza; direi che dal momento in cui comincio a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta: prima come ricerca d’un equivalente dell’immagine visiva, poi come sviluppo coerente dell’impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco resta padrona del campo. Sarà la scrittura a guidare il racconto nella direzione in cui l’espressione verbale scorre più felicemente, e all’immaginazione visuale non resta che tenerle dietro.” Il procedimento opposto è messo in campo da Calvino nelle Cosmicomiche, in cui la “fantasia figurale” prende le mosse da un “enunciato tratto dal discorso scientifico”. Fra le due idee di immaginazione descritte da Starobinski, pur ammettendo di ricondurre nei binari di una narrazione logica le immagini spontanee, l’autore si dichiara più incline all’immaginazione come punto di contatto con l’anima del mondo. “Ma c’è un’altra definizione in cui mi riconosco pienamente ed è l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere.”

lezioni americane italo calvinoParticolarmente interessante la parte in cui Calvino riflette sull’immaginario indiretto, che comprende tutte le immagini che la mente umana non si rappresenta per diretta esperienza ma perché esistenti nel repertorio delle immagini prodotte e trasmesse dalla cultura, che sia quella di massa o altra forma di tradizione. Scrive infatti “Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo” prima di esprimere la sua preoccupazione per il pericolo, in una civiltà in cui le immagini sono inflazionate e preconfezionate, di perdere la facoltà di pensare per immagini a partire dalla pagina scritta.

Nell’elenco degli elementi che determinano la “parte visuale dell’immaginazione letteraria”, che esemplifica attraverso un’analisi della fantasia letteraria di Balzac, abbraccia la diretta percezione visiva della realtà; la trasfigurazione del reale nella dimensione del sogno; la ricezione di immagini elaborate dalla cultura in cui si è immersi; l’assimilazione dell’esperienza visiva nella propria coscienza con un processo di astrazione. Il saggio si conclude con la constatazione che qualsiasi fantasia e qualsiasi realtà assumono forma solo nella scrittura, che Calvino sceglie di rendere proprio attraverso un’immagine meravigliosa: “pagine di segni allineati fitti fitti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto.” Le dune in cui tutti quelli che fanno parte di questo gruppo amano perdersi.

Articolo cura di Valeria Rolli.

“Lezioni Americane” di Italo Calvino, edizioni Mondadori. 

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