Un libro tra le mani

“Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg, recensione: Un libro tra le mani

LE PICCOLE VIRTÙ di Natalia Ginzburg. 

(AUDIOLIBRO letto da Michela Cescon)

Undici racconti (saggi) autobiografici, uno più bello dell’altro.

Eleganti e malinconici, quando non struggenti o arguti.

La Ginzburg ripercorre gli anni del confino politico in Abbruzzo, il periodo londinese, ci fa riflettere sui mutamenti, soprattutto interiori, lasciati in eredità dalla guerra, ci regala squarci dei suoi affetti, del suo rapporto matrimoniale (con il secondo marito), del suo mestiere di scrivere che tanto dà e tanto toglie diventando padrone di tutto… fino ad arrivare a riflessioni sulla pericolosità del silenzio, sui rapporti umani e su quello tra genitori e figli.

Trovo Natalia Ginzburg così intima, semplice, vera.

Ho come la sensazione di aver trovato, nei suoi libri, un luogo dell’anima, un luogo in cui riesco a stare bene, in equilibrio.

Un conforto, una carezza, “un po’ di misericordia.”

Il primo racconto, scritto dopo la morte del marito, Leone Ginzburg (torturato e ucciso dalle guardie naziste nel carcere di Regina Coeli), ci fa precipitare in un momento della sua vita molto dolente, quando, confinati in un luogo remoto e a loro straniero, avevano ancora tutti i sogni intatti.

Molto struggente.

“Le nostre esistenze si svolgono secondo leggi antiche ed immutabili, secondo una loro cadenza uniforme ed antica. I sogni non si avverano mai e non appena li vediamo spezzati, comprendiamo a un tratto che le gioie maggiori della nostra vita sono fuori della realtà. Non appena li vediamo spezzati, ci struggiamo di nostalgia per il tempo che fervevano in noi. La nostra sorte trascorre in questa vicenda di speranze e di nostalgie.

Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.”

(Inverno in Abbruzzo)

L’esperienza della povertà, da parte di chi ha sempre avuto grandi possibilità economiche, è un’esperienza che cambia il punto di vista, cambia le priorità.

E così la Ginzburg ci regala questo piccolissimo racconto che, con lievi venature ironiche che nascondono una grande sofferenza, ci fa capire molto bene il senso e il valore della vita che muta.

“Lei e io sappiamo quello che succede quando piove, e le gambe sono nude e bagnate e nelle scarpe entra l’acqua, e allora c’è quel piccolo rumore a ogni passo, quella specie di sciacquettìo.”

(Le scarpe rotte)

Il racconto dedicato all’amico Cesare Pavese (benché non venga mai nominato, s’intuisce) è bellissimo, poetico, e ci regala una finestra aperta sulla vita, i pensieri e le abitudini di uno scrittore immenso e immensamente inadatto ad accettare la realtà, a viverla con leggerezza o a piegarsi ad essa.

“Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo, la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni.”

“É morto d’estate. La nostra città, d’estate, è deserta e sembra molto grande, chiara e sonora come una piazza; il cielo è limpido ma non luminoso, di un pallore latteo; il fiume scorre piatto come una strada, senza spirare umidità, né frescura.”

“Non c’era nessuno di noi. Scelse, per morire, un giorno qualunque di quel torrido agosto; e scelse la stanza d’un albergo nei pressi della stazione: volendo morire, nella città che gli apparteneva, come un forestiero.”

(Ritratto d’un amico)

L’esperienza della guerra lascia segni indelebili, modifica valori e stili di vita, e impone un nuovo modo di rivolgersi al mondo e soprattutto a chi, con occhi ancora puri, ha dovuto assistere allo scempio degli uomini.

Non c’è più nessuna sicurezza per gli uomini, nessuna casa sicura, nessun disincanto.

“Vorrebbero che mentissimo ai nostri figli come loro mentivano a noi. Vorrebbero che i nostri bambini si trastullassero con fantocci di felpa in graziose stanze riverniciate di rosa, con alberelli e conigli dipinti sulle pareti. Vorrebbero che circondassimo di veli e di menzogne la loro infanzia, che tenessimo loro accuratamente nascosta la realtà nella sua vera sostanza. Ma noi non lo possiamo fare. Non lo possiamo fare con dei bambini che abbiamo svegliato di notte e vestito convulsamente nel buio, per scappare o nasconderci o perché la sirena d’allarme lacerava il cielo. Non lo possiamo fare con dei bambini che hanno veduto lo spavento e l’orrore sulla nostra faccia. A questi bambini noi non possiamo metterci a raccontare che li abbiamo trovati nei cavoli o di chi è morto dire che è partito per un lungo viaggio.”

(Il figlio dell’uomo)

Il racconto che dà il titolo al libro è una riflessione filosofica, ma anche e soprattutto pedagogica, su quello che ci aspettiamo dai nostri figli, su quanto possano pesare le nostre aspettative e sull’importanza di lasciarli liberi di “essere“, insegnando loro a diventare, sostanzialmente, persone giuste.

«Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione.»

(Le piccole virtù)

Ah, bravissima la Cescon ad interpretarlo!

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“Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg, Einaudi editore . Un libro tra le mani.

Antonella Russi

Nata a Taranto, classe '76. Lettrice per passione, da sempre.

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