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Moving Books – Hamlet

Avete presente quegli attori che difficilmente si dimenticano, nonostante a malapena se ne ricordi ormai il nome? Ecco, Nicol Williamson era uno di loro. Sicuramente in tanti avrete visto Excalibur di John Boorman, dove Williamson interpretava un magnifico, fiammante Merlino. Ma in generale qui in Italia questo attore scozzese dall’accento roboante è purtroppo poco noto. Soprattutto, enorme lacuna, in pochi conoscono il suo Amleto. Tutti conoscono almeno per sentito dire quello di Lawrence Olivier, o magari quello più pop di Kenneth Branagh. Eppure, esiste un’interpretazione di cui purtroppo in Italia siamo in buona parte clamorosamente all’oscuro.

1969, Inghilterra, poco budget e un set a dir poco minimale. Ecco il palcoscenico su cui si svolse la vicenda dell’Hamlet di Tony Richardson. E non a caso si parla di palcoscenico, perché il film è completamente ambientato fra le quinte di un teatro, proprio dove il regista aveva dato inizio alla propria carriera. Richardson era una figura artistica molto importante nel cinema britannico: fra i fondatori del Free Cinema,  come i suoi colleghi portava avanti un’idea di cinema profondamente libera, legata a una visione personale ma ben radicata nel reale. I protagonisti dei film di questo gruppo artistico sono rappresentanti della working class britannica, con la loro quotidianità fatta di ribellione e grigiore dei sobborghi. Teatro e disobbedienza: li ritroviamo proprio in Hamlet.

Tony Richardson, Hamlet, 1969
(Credits: Hamlet © Woodfall Film Productions 1969)

Il film è davvero essenziale a livello di scenografie e costumi, realizzati nella più semplice tradizione rinascimentale. Tutto serve a esaltare la recitazione, soprattutto quella di Nicol Williamson. E lo dico senza vergogna: è lui l’unico Amleto cinematografico che mi abbia mai emozionata. Quella di Williamson è una rabbia a stento trattenuta, virile, adulta, al contrario di alcune interpretazioni che fanno di Amleto un ragazzino con il complesso di Edipo o un apatico che spreca tempo a fare il finto matto. Per la prima volta, dette da lui, le parole di William Shakespeare acquistano un senso, anche quando sconnesse. Un esempio perfetto è la famosa scena in cui Amleto raggiunge Gertrude nelle sue stanze: nel giro di pochi minuti la offende, uccide Polonio, vede il fantasma del padre e alla fine la consola, prima di lasciarla alle sue riflessioni. Una sfida per chiunque, rendere coerente tutto questo. Ma lui ci riesce. Ed è straziante il suo Have You Eyes? gridato in faccia alla madre da cui si sente tradito.

Tony Richardson, Hamlet, 1969
(Credits: Hamlet © Woodfall Film Productions 1969)

L’Amleto di Williamson è pura energia, è una bestia selvaggia dentro un sistema che odia: alla fine muore sì, ma vittorioso. Sarà anche nato principe, ma anche lui è un working class hero del Free Cinema. È carne e sangue, senza la necessità di farne vedere un centimetro. E a proposito di carne, la sessualità è un tema che questo film affronta in modo profondamente erotico senza essere esplicito. Del resto, Tony Richardson aveva diretto nel 1963 il suo frizzante Tom Jones, ambientato nel XVIII secolo e decisamente attuale nella sua descrizione delle classi sociali inglesi.

Tony Richardson, Hamlet, 1969
(Credits: Hamlet © Woodfall Film Productions 1969)

Sarebbe un delitto non citare anche il resto del cast, che è notevolissimo: Judy Parfitt è Gertrude, la mitica Marianne Faithfull è Ofelia. E c’è perfino un trentaduenne Anthony Hopkins nel ruolo di re Claudio. Purtroppo non si trovano video di grande qualità tratti da questo film… ma qui sotto potete godervi il primo monologo di Amleto-Williamson in tutto il suo splendore (e la sua tagliente, scozzesissima pronuncia).

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Chiara Tartagni

Copywriter, studiosa di storia dell’arte, insegnante, nerd, ma soprattutto una persona molto curiosa. Ama tutto ciò che riguarda le immagini, in movimento e non. Ha scritto un libro per Jimenez Edizioni, "Le relazioni preziose": un piccolo viaggio sentimentale fra il Settecento e il cinema contemporaneo.

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