“Tre camere a Manhattan” di Georges Simenon: due solitudini e una città

“TRE CAMERE A MANHATTAN” di Georges Simenon
(Adelphi editore, traduzione di Laura Frausin Guarino, AUDIOLIBRO letto da Anna Bonaiuto)
Era da troppo tempo che non leggevo un Simenon (l’ho ascoltato, e forse é stato ancora più intenso), ed è stato veramente bello ritrovarmi di nuovo immersa nelle sue atmosfere un po’ fumose, nei suoi dialoghi pieni di non detti, a tu per tu con uomini e donne spesso irrisolti, pieni di cicatrici e con un conto aperto con la vita.
Questo romanzo si legge con la stessa naturalezza con cui “lei aveva infilato la mano sotto il braccio di uno sconosciuto quale era lui…”
Due solitudini
Un amore nato per caso dall’incontro di due solitudini in un bar, due anime perse, senza radici e senza approdo.
Un amore che si nutre dei passi percorsi per le strade di New York, tanti passi, tanti chilometri fatti per la paura di doversi salutare e non ritrovarsi più.
Tanti whiskey e tante ultime sigarette.
Un juboxe che suona e risuona la stessa canzone, la loro canzone.
E poi le camere, tre.
Tre camere che li hanno visti insieme, consumati da un desiderio che era un impasto di passione e paura, attrazione e disperazione, ma soprattutto “bisogno“.
Di ascolto, di contatto, di parole, di cura, di uno straccio di affetto.
Un bisogno che si è trasformato ben presto in un qualcosa di totalmente irrazionale e irrinunciabile, un mix di ossessione e gelosia, una febbre tenuta a bada solo dalla presenza dell’altro.
Un uomo e una donna non più giovanissimi, un po’ ammaccati dalla vita, entrambi con un matrimonio fallito alle spalle e figli lontani, che si riscoprono ancora capaci di dare e ricevere, ma stavolta senza maschere e ipocrisie, presentandosi all’altro nella peggiore versione di loro stessi: chi senza neanche una casa, un solo vestito e un paio di calze smagliate, chi con la disillusione e il vuoto assordante di una notorietà ormai in declino.
Manhattan…
E poi c’è lei, l’altra grande protagonista di questa storia: Manhattan.
Una Manhattan notturna, dalle strade deserte e la luce soffusa dei lampioni, una Manhattan spietata e malinconica, con i suoi locali notturni sempre aperti e pronti ad ospitare chi cerca riparo, calore, conforto in un bicchiere, in uno sguardo, in un sorriso, in una parola scambiata con uno sconosciuto che ha lo stesso identico vuoto negli occhi e nello stomaco.
Simenon scava, scandaglia, scende giù nelle parti fragili e buie dell’animo umano, nella disillusione e nel disincanto, e poi riemerge donandoci ogni volta piccoli capolavori.
Avete presente il quadro di Hopper, “I nottambuli”?
Ecco, seduti a quel bancone ci sono proprio loro, Kay e Frank (e le loro solitudini), quella la luce che immaginavo durante la lettura, esattamente quella l’atmosfera che ho respirato durante tutto il racconto, quelli gli sguardi persi di chi non sa ancora cosa sta cercando.
Pittura e letteratura che si fondono in un unico, meraviglioso, “sentire“.
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“Tre camere a Manhattan” di Georges Simenon, Adelphi edizioni . Un libro tra le mani.