Il lirismo struggente di Canne al vento.
Capolavoro senza tempo sulla solitudine e l’orgoglio.

Avevo quindici anni la prima volta che ho letto Canne al vento, della scrittrice premio Nobel Grazia Deledda. Ricordo che fui subito sopraffatta dal lirismo delle sue pagine e rapita da quei personaggi che, quasi per contrasto, si stagliano tridimensionali dal fondo, gridando di essere visti, di essere amati. L’ho riletto più volte nel corso degli anni, con la trepidazione prima – e la sorpresa poi – di vedere ogni volta confermate le prime sensazioni.
IL DECLINO DI UNA FAMIGLIA
Nel piccolo villaggio sardo di Galte (nella realtà Galtellì) vivono le sorelle Ruth, Ester e Noemi Pintor, testimoni di una passata ricchezza e custodi rassegnate dei segreti che hanno portato al declino della loro famiglia. Su di essa, infatti, incombe, ancora vivo, il dramma della sorella Lia, che tanti anni prima ha osato sfidare la gelosia del padre, Don Zame, scappando di casa per raggiungere “il continente”, dove si sarebbe sposata e avrebbe avuto un figlio. Nel tentativo di inseguirla, il padre muore misteriosamente, condannando le altre figlie a una vita di malinconico orgoglio, sempre più sfumato nel risentimento man mano che le ristrettezze economiche prendono il sopravvento.
CANNE AL VENTO: CAPOLAVORO IMMORTALE

L’intero romanzo è pervaso da una nota di dolore latente, che si mostra pudico nella figura di Efix, il fedele servo delle sorelle Pintor, oppresso dal suo passato ed eroicamente immolato al suo destino, e nella ritrosia delle sue padrone, incapaci di adeguarsi ai tempi che mutano e allo stesso modo incapaci di accettare la decadenza e la miseria che incombono sulla famiglia.
Sarà l’inatteso ritorno del dissoluto nipote Giacinto, figlio di Lia, a squarciare il velo di sdegnosa solitudine nel quale vivono le donne, alimentando ricordi, foraggiando rancori e portando in vita passioni che sembravano sopite.
Sullo sfondo una Sardegna primordiale, che si fa specchio e caleidoscopio degli stati d’animo di questi personaggi fragili ed esposti alle intemperie della vita come “canne al vento”.
Un libro che resta nell’anima per sempre.
IL VINO
Ad accompagnare questa lettura, un Cannonau di Sardegna DOC, rosso dal gusto secco, pieno e sapido con retrogusto amarognolo, come le vicende raccontate nel romanzo.
LE CITAZIONI

“Ecco ad un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco di una collina simile ad un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del castello. L’occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico, roseo di sole nascente, la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore”.
“Siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”
Canne al vento, Grazia Deledda, Mondadori, a cura di Sopra le righe.