Sopra le righe

“Cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi: quando si infrange il tabù delle cose da tacere.

Il dolore raccontato senza filtri

È vero, ci sono “cose che non si raccontano”. Ma, quando si decide di raccontarle, si infrange il tabù dell’invidia da nascondere, si squarcia il velo del pudore, si abbandonano le briglie che tengono fermo il risentimento e si spalancano le porte all’odio verso chi osa essere felice.

Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi: un dolore inaccettabile

In queste pagine coraggiose, Antonella Lattanzi non edulcora, non abbellisce, non smussa e decide di gridare il suo dolore per la maternità mancata in modo crudele, a tratti osceno, oltraggioso,  inaccettabile. Come inaccettabile è la sofferenza di chi vive lo strazio di cure e interventi invasivi, sottoponendo il proprio corpo a torture infinite pur di dare alla luce un figlio. Ma, quando la gravidanza tanto attesa si rivela doppia, e poi persino tripla, inizia la paura, l’angoscia di non essere all’altezza, il conflitto e il senso di colpa per non voler rinunciare al proprio lavoro e alla propria vita, annullandosi e immolandosi sull’altare di una maternità malvagia e assoluta.

Un desiderio totalizzante

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Cose che non si raccontano- Copertina

A colpi di scure, pagina dopo pagina, l’autrice fa a brandelli le fortezze dei pensieri proibiti e racconta senza sconti un percorso fatto di ossessioni, aspirazioni legittime, desideri totalizzanti che si scontrano con medici insensibili e ottusi, partner evanescenti, eventi atroci e inaspettati. Un libro che si legge quasi in apnea e di cui, pur conoscendo già il finale, non riesci ad arrestare la corsa impazzita verso l’abisso.

Antonella LAttanzi

«Ho una diga nella testa
dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose,
io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio
che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono».

Da “Cose che non si raccontano”

UNA SCRITTTURA SENZA FILTRI

Non ci sono filtri nelle parole dell’autrice e nel modo in cui ha deciso di consegnare al lettore la sua sofferenza. Una sofferenza che spaventa e di cui vorremmo quasi non sapere nulla, perché non esiste il modo giusto per maneggiarla. E forse, proprio per questa immeritata prova di fiducia, dovremmo ringraziare la scrittrice che, raccontando il suo personalissimo calvario, erge la sua storia di donna a storia di tutte le donne.

IL VINO

Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi, Einaudi, a cura di Sopra le righe.

Michela Bilotta

Sono nata a Salerno e vivo da oltre dieci anni a Bruxelles, dove mi occupo di comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista dal 2007 e sommelier professionista, ho maturato un’esperienza ventennale come direttrice creativa, editor e addetta stampa per case editrici, agenzie pubblicitarie, testate giornalistiche, ONG internazionali e istituzioni europee. Ho, inoltre, pubblicato guide turistiche, racconti e manuali per concorsi a cattedra. Ho seguito, e continuo a seguire, corsi di scrittura creativa e tecniche narrative, ho sempre usato le parole per lavoro e per passione, e il mio amore per la scrittura è pari solo a quello per la lettura. La metrica dell’oltraggio, edito dalla Jack Edizioni, è il mio primo romanzo edito e tratta dei diversi aspetti della violenza di genere, partendo dalla tragica storia della poetessa Isabella Morra, assassinata dai fratelli, fino ad arrivare al fenomeno dei femminicidi oggi. Il libro ha destato l’attenzione della stampa nazionale, è entrato nell’elenco ufficiale dell’AIE come testo scolastico ed è stato presentato alla Camera dei deputati. Il mio racconto “Controtempo” è stato pubblicato nell’antologia “Due anni di Jack”. Tre miei racconti sono stati pubblicati nell’Antologia “Ad alta voce”, a cura della scrittrice Sara Rattaro.

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