“Shining” di Stephen King: recensione libro
“All’Overlook tutte le cose sembravano animate da una sorta di vita propria. Era come se l’intero edificio fosse stato caricato con una chiave d’argento. L’orologio marciava. L’orologio marciava.”
Doc. Wendy. Jack. L’Overlook Hotel, per la famiglia Torrance, è l’ultima possibilità. Lo è per Jack, insegnante alcolizzato con il sogno di diventare scrittore. Lo é per Wendy che vive nelle (e delle) speranze del marito. Che lo ama ma che ha paura di quello che potrebbe diventare. Lo è, sopratutto, per Danny “Doc”. Perché sei anni sono troppo pochi per affrontare il DIVORZIO e sono pochi anche per sconfiggere da solo la Brutta Cosa che infesta i pensieri di Jack.
Perciò l’Overlook Hotel, un enorme albergo incastrato tra le montagne, e il lavoro da custode sono il luogo e l’occasione ideale per la rinascita della famiglia Torrance. I mesi invernali insieme, soli, lontani da tutto e da tutti. Lontani dalla Brutta Cosa, con il tempo per scrivere, per rigenerarsi. Per archiviare del tutto lo spettro del DIVORZIO.
A meno che.
A meno che l’Overlook Hotel non sia solo un semplice albergo. A meno che la strana perspicacia di Doc e il suo sapere le cose, siano solo alcuni dei sintomi di qualcosa di più complesso. Di più articolato. Di più potente. Di più desiderabile.
“Shining” di Stephen King
Stephen King racconta di una famiglia. Racconta della lenta e inesorabile autodistruzione di Jack. Un fratturarsi un pezzo alla volta fino alla contemplazione assoluta del fallimento. Racconta di come Doc debba diventare uomo, in fretta e nel modo peggiore. Di come debba imparare che “Il mondo è duro, Danny. Se ne frega. Non ci odia, no, ma nemmeno ci ama”. Racconta di come Wendy sia costretta a fare i conti con i suoi retaggi, le sue debolezze. Il suo dover essere più di quanto è stata fino a quel momento.
Ma sopratutto racconta dell’Overlook Hotel. Tutte le parole che sgorgano dalla penna di King tessono una ragnatela di eventi, di situazioni, di intenti, di possibilità, di rischi e di morti che si ha come baricentro proprio l’Overlook Hotel.
King ci lascia intuire con largo anticipo cosa succederà alla famiglia Torrance e all’Overlook stesso: non gli interessa e non vuole stupirci. Non vuole avere questo tipo di segreti con noi.
Perché King vuole raccontare dell’Overlook Hotel. Vuole che ci ossessioni, proprio come ossessiona Jack. Vuole che ci spaventi, proprio come spaventa Doc e Wendy. Vuole farci capire che ci sono luoghi che hanno raccolto troppe cose, che hanno visto troppe vite brillare e troppe anime consumarsi tra le loro pareti. E che per questo vogliono creare le loro cose, vogliono brillare e vogliono consumare (e consumarsi). Luoghi che hanno bisogno di un potere come quello di Doc per essere più di quanto sono stati fino a quel momento.
Ed è esattamente questo, che fa. Sacrificando alcune cose e lasciando che l’aura dell’Overlook – il suo Shining – divori tutto il resto. Con la stessa voracità delle fiamme.
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“Shining” di Stephen King, edizioni Bompiani. Rete Miceliale.