Scrivere, per molti, è una necessità. Un’esigenza che non tiene conto delle regole e delle tecniche di scrittura. Si ignorano totalmente quando si scrive senza avere alcuna pretesa, senza riconoscersi scrittori. Riempire i fogli d’inchiostro è come respirare a pieni polmoni aria fresca.
È liberatorio, è una gentilezza verso se stessi. A volte, non ha importanza lo stile. Non tutti ce l’hanno su carta e poi chi se ne frega quando scrivere è un modo per salvarsi l’anima, per prendere fiato, per sentirsi vivi. La scrittura autobiografica, poi, è ricordo. Passaggio del testimone a quelli che verranno dopo, che non si sono incontrati occhi negli occhi. Alcuni apprezzeranno altri meno, ma nessuno può entrare nella mente dell’autore e scardinare i pensieri che ha avuto per trasformarli in righe. Puoi immaginare, puoi addirittura immedesimarti, ma non ce la farai mai ad entrare nella mente dello scrittore per cui prendi quello che ti viene dato. Accettarlo o rifiutarlo dipende da te, lettore. Lo scrittore, dal canto suo, delle idee ne ha fatto penna, fiato, respiro. Vita.
In Viera Un’Italiana del ’23 di Paola Mattioli entri nella vita di una bambina prima e di una donna poi che mette nero su bianco i punti salienti della sua esistenza. I ricordi segnano la strada di Viera che li lascia come patrimonio alla famiglia. Un quaderno, il suo, che verrà trovato da una delle figlie come se avesse sentito il profumo di cannella. Bruna e calda quanto le giornate al mare, aroma di una vita che abbraccia la fragranza dell’amore.
Il libro è più un quaderno di appunti sulla quotidianità vissuta. Non può essere inteso diversamente e non sarebbe corretto definirlo in altro modo. Semplicistico nella scrittura quanto nei pensieri. Il lettore però, pur in una narrazione asciutta e veloce, sente addosso i ricordi e ne fa tesoro.
“Viera” di Paola Mattioli, edizioni Pendragon. Dream Book.