Alcune parole sono belle, ma belle davvero. Per questo molti le fanno proprie riempiendosi la bocca per farsi grandi dinanzi alla grazia di certi termini. E fanno bene. Perché vivono appieno ciò che raccontano facendosi carico dell’importanza di talune scelte dettate dal cuore, prima ancora che c’entri anche la ragione. Alle parole fanno seguire i fatti e non chiacchiere a vanvera.
In Terramarina di Tea Ranno conosci l’amurusanza. È la sera della vigilia di Natale e Agata, che in paese tutti chiamano la Tabbacchera, è molto triste. “Lassitimi sula” dice agli amici che sono la sua famiglia. È il suo quarto Natale senza il marito Costanzo, che le manca più che mai. Anche se fatica ad ammetterlo, non è il solo a mancarle: c’è un maresciallo di Torino che, da quando ha lasciato la Sicilia, si è fatto largo tra i suoi pensieri. A irrompere nella vigilia solitaria di Agata è Don Bruno, il parroco del paese, con un fagotto inzaccherato tra le braccia: è una neonata che avrà qualche ora di vita, trovata abbandonata al freddo, ad un angolo di una strada. Luce, così verrà battezzata da Agata e dai suoi amici. In casa della Tabacchera entra la gioia e anche una serie di domande: chi è la donna che è stata capace di abbandonare il sangue del suo sangue? Starà bene o le sarà successo qualcosa? Cosa fare della picciridda che ha conquistato i cuori di Agata e dei suoi amici?
Il romanzo è una meraviglia. La storia acchiappa il lettore e lo trascina lungo le strade dell’accoglienza, della solidarietà, dell’amore verso gli altri. La scrittura è ammaliante. Tea Ranno padroneggia le parole, lo stile narrativo, la scrittura come pochi. Il suo è talento, puro.
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