La paura sveglia i sensi, ci apre gli occhi. All’inizio ci fa tremare, ci ammutolisce. Apre ferite, si fa strada nelle fessure del silenzio, si impossessa della forza che soccombe senza sillabe. Dalla paura, poi, scopriamo il cielo se siamo stati coraggiosi a non piegarci ad essa. I momenti in cui si è spaventati a morte servono a rimetterci in piedi, a porci domande che spesso ci allontanano da un approdo sicuro. Servono.
In La pittrice di Tokyo di Sarah I. Belmonte finisci nella vita di due donne, O’Tama, giapponese, e Jolanda, palermitana. Entrambe sono donne forti, coraggiose, autentiche. O’Tama è una pittrice e Jolanda una fotografa che corregge bozze in un giornale di Sicilia. Palermo le ha affascinate alla vita, al senso di libertà, e Tokyo le ha unite. È il 1938. Essere donna alle due estremità del mondo non è facile, se abbassi la testa e ti fai comandare eviti impicci e pugni, ma l’anima secca anche lo sguardo perché si spegna la speranza di cambiare. Se sei ribelle, tosta e determinata, segui te stessa, ma avrai altre fregature. Almeno, hai capito chi sei. E lo comprenderanno le due donne unite per l’amore per l’arte e per due terre che le hanno pittato l’anima.
Il romanzo è meraviglioso. La prosa è potente, bellissima, fluida. La narrazione ti prende l’anima, fa di te ciò che vorresti essere. La storia ti rapisce, ti piazza innanzi bellezza e contrasti, sole e freddo, parole e silenzi, onde e ribellione. Ti regala anche un viaggio e una risorsa: l’arte. Il lettore comprende benissimo che cosa ha tra le mani sin dalle prime battute. Seguire l’inchiostro e le emozioni fatte inchiostro è una sorpresa che lo porta alla fine anche al pianto. La pittrice di Tokyo è un libro che non vorresti lasciare mai, che una volta chiuso è come se finissi sulla banchina di un porto per vedere le tinte della vita che passano dalle voci e dal colore del mare e del cielo. Le nuvole, sta a te, soffiarci appresso per vincere la paura.
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“La pittrice di Tokyo” di Sarah I. Belmonte, edizioni Rizzoli. Dream Book.