Alcuni segnali deformano la realtà. Attraversano le lingue di chi impasta la fantasia con la superstizione. Si mischiano anche alle dicerie lasciando profondi solchi di vacua suggestione e innescano tumulti che sfociano nei remoti confini tra credenze e verità. Certi segnali sono un po’ come le scarpe rotte. Ti accorgi di essi solo quando ti infastidiscono il passo, la vista. Ti rovinano l’oggi e imbrattano il domani.
In Il sentiero selvatico di Matteo Righetto senti la distanza che avvolge Tina. Ha dieci anni quando, nel mezzo della liturgia in chiesa, il Giorno dei Morti, sparisce nel nulla. Da più di un mese nel suo paesino, ai piedi delle Dolomiti, piove senza sosta. Tutti la cercano, in una notte di tempesta, ma nessuno la trova. La mattina seguente, la bambina riappare da sola e cessa anche la pioggia. In poco tempo, per il paese intero, la piccola è la strìa, la strega, che è stata rapita dai morti e che ha conosciuto il diavolo. Tina, per allontanarsi da quelle voci e da quelle distanze, se ne va per i boschi. Lì trova pace, rifugio e sicurezza.
Il romanzo è intenso. La narrazione ha un bel ritmo. La storia è pregna di un fascino ammaliante. La scrittura è senza filtri, pulita. Si muove sino a conquistare la parte più intima del lettore.
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“Il sentiero selvatico” di Matteo Righetto, edizioni Feltrinelli. Dream Book.