L’odore di bruciato arriccia il naso, imbastardisce il respiro. Gli spazi, le luci, si impregnano di massa sfocata. Restano incollati ad una memoria che si è fatta missionaria. I ricordi arrivano chiari, nitidi, avvampano quando salta fuori qualcosa che aziona immagini e pensieri.
In Fiordicotone di Paolo Casadio entri nella vita disperata, soffocata, di alcuni ebrei che, deportati ad Auschwitz, fanno ritorno a casa. Alma è una sopravvissuta. È l’unica superstite della sua famiglia. Prima di essere arrestata e finire, quindi, nel campo di concentramento, ha messo in salvo la figlia. Uno sconosciuto l’ha nascosta sotto il suo mantello. Alma è una bella donna e questo l’ha salvata dalla morte, ma la puzza di bruciato delle vite arse nei forni le resterà attaccata. Lei è condannata alla vergogna, all’umiliazione, al dolore soffocato se voleva restare in vita. Doveva assecondare vizi, desideri, comprenderne le sfumature dei cambiamenti repentini di umore degli ufficiali che la tenevano con sé. Si è costruita un’armatura dentro, le sue ore erano appese ad un filo di esecuzione fisica. Alla fine della guerra torna a casa, a Lugo di Romagna. Non ha più nulla, l’abitazione dove ha vissuto non le appartiene più, ma ha il desiderio di trovare sua figlia.
Il romanzo è bellissimo. La storia è toccante. La scrittura è fluida, emotiva. La prosa conquista, il lettore si lascia vestire dalla narrazione. Sente e vede tutto in modo limpido. Finisce dentro alle parole, anche in quelle volutamente taciute che si fanno largo nelle pagine al pari di quelle fissate dall’inchiostro. Il libro merita e molto anche.
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