“Guardo fuori dalla finestra e, influenzato dalla lettura appena terminata de “Le città invisibili” di Italo Calvino, vedo una città, una porzione di essa, più esattamente, alla quale sono incerto se dare il nome di Torino, perché dalla mia prospettiva potrei chiamarla in un altro modo, giacché, come afferma Marco Polo, il quale, alla corte di Kublai Kan, gli racconta di tutte le città che ha visitate – tutte città possibili –, è pensabile che una stessa città, vista da prospettive diverse, con occhi diversi, possa giustificare l’affibbiarle un nome diverso.
“Le città invisibili” di Italo Calvino pone un interrogativo ontologico
«Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure»

(Fonte: www.it.wikipedia.org)
Così, noi che leggiamo siamo catapultati all’interno di queste “città invisibili”, continuando a scervellarci su quell’interrogativo, perché nel mostrarsi contraddittorie, caratteristiche, riconoscibili, queste città, mostrano tuttavia una connessione più profonda, più forte, che le rende tutte simili: forse è il fatto che ciascuna città è il concretarsi di un sogno immaginato che può portare con sé tanto desideri quanto paure, perché in effetti «tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.»
Sono le relazioni tra persone che rendono vive le città
E poi, oltre le linee sinuose, curve, spiraliformi, spezzate, tangenti che costituiscono queste città invisibili con i loro pinnacoli e porti e ponti e chissà quante altre cose a popolarle, al di là delle loro tubature e maioliche en plein air per aggraziarsi forse – o così si dice – le naiadi e le ninfe che cantano felici sotto quei fili d’acqua gettantisi dai soffioni e spazzolati dall’aria, e i desideri e i sogni che quelle città alimentano o che sono alimentati dalle città stesse, Marco Polo non tace sulle relazioni tra persone che le rendono vive, quei fili che a volte soli rimangono a costituire l’ossatura di una città spoglia di tutto il resto.
Che cosa rimane quando volti l’ultima pagina de “Le città invisibili”?
Con occhi nuovi, allora, arricchiti, volgiamo l’ultima pagina. Avremo spostato gli occhi centinaia di volte, nel frattempo, e pare che centinaia di città siano passate dinanzi al nostro sguardo e ancora non sappiamo se ci troviamo nello stesso posto o se invece ci siamo spostati, siamo andati altrove, se il suolo che calpestiamo ora è diverso da quello che calpestavamo prima. Insomma, se è mutato il nostro sguardo, noi, o lo spazio intorno a noi; oppure ancora entrambe le cose insieme.
A questo punto però mi ritrovo a guardare ancora fuori della finestra quella porzione di spazio che, per quanto ne posso sapere, potrebbe rappresentare l’intero universo esistente, e che ancora penso se chiamarla Torino o in altro modo, e mi ritornano in mente le parole di Marco Polo, ancora una volta, ancora acute, rivelatrici: «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.»
Allora capisco perché sono arrivato alla fine, perché ho chiuso il libro dopo aver apprezzato questo viaggio e per quale motivo sto scrivendo ora queste poche parole per spronarvi alla sua lettura.
“Le città invisibili” di Italo Calvino, edizioni Mondadori editore. A voice from apart.