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“Grande meraviglia” di Viola Ardone: recensione libro

Un muro può proteggere o dividere. Può offrire riparo o crollare regalando la libertà. I muri, siano essi fisici o mentali, sono creazioni dell’uomo, espressioni del suo pensiero, di un credo politico o di una teoria scientifica.
Così fino all’entrata in vigore della legge 180, la legge Basaglia, i muri dei manicomi delimitavano, contenevano e controllavano le vite delle persone comunemente etichettate come matte.
Il romanzo di Viola Ardone narra di muri, mentali e fisici, e lo fa attraverso una lente particolare, quella del gesto d’amore, l’unico – forse – capace di curare.


Grande meraviglia di Viola Ardone

La città
Napoli, con i suoi sapori e poi Posillipo, il mare e i taralli caldi.

Le persone
Fausto Meraviglia, psichiatra di cui seguiremo la vita professionale e personale, intrecciate in modo indissolubile per la gioia dei suoi pazienti, un po’ meno per quella dei famigliari, costretti a condividerlo giorno e notte, festività comprese, con i suoi matti.  Al netto dei difetti, quel tipo di persona che vorrei avere la fortuna conoscere.

Elba, una bimba nata e cresciuta al Fascione, il reparto femminile del manicomio. Figlia di una donna sanissima internata in modo coatto dal marito, è una delle voci narranti del libro. Impossibile non sorridere alle sue filastrocche, impossibile non provare almeno una volta a imitare il suo tic, quello di sfregarsi la gobba inesistente del naso con la nocca dell’indice.
Pagina dopo pagina si cresce con lei, leggendo le diagnosi che lei stessa scrive sul suo Diario e superando la linea d’ombra che la porterà a essere donna.

Elvira, Mattia Vera e “chiappariello”, rispettivamente la moglie, i figli e il nipotino di Fausto. La famiglia che per anni lo aspetta a casa in qualità di marito di padre e nonno. O forse no, perché anche l’attesa costantemente delusa dopo un po’ si trasforma in un sentimento diverso. Quei tipi di persone che non diresti mai, e invece poi ti sanno sorprendere.

Il dott. Colavolpe, Gillette, Lampadina, anche se sono persone in carne ed ossa formano il muro compatto del protocollo che non può essere minato, abbattuto, messo in discussione nemmeno per un attimo. Pagano il loro ruolo come fossero monete ma se le guardi bene sono invece come medaglie hanno un’altra faccia.

Micio e Alfredo: rispettivamente il gatto di condominio e il vicino di Fausto. Ruolo? Amici. Sinceri, aggiungo. 

Perseverare spesso è un sintomo. Perdere è sano.

Il tocco di questo romanzo è lieve. C’è una sofferenza che si fa speranza. Un dolore che si può curare solo con la comprensione. Un allenamento alla vita che si raggiunge solo con la capacità (anche) di perdere.
Ardone affronta con la letteratura un periodo storico decisivo per quello che sarebbe stato il futuro dei manicomi: dopo la legge 180 molti furono i cambiamenti, molte le polemiche e molte le persone a cui fu necessario insegnare ad essere libere.
Il romanzo incastona questo enorme tema in un mosaico molto più complesso che contempla il passare del tempo, inteso come invecchiamento ma anche come maturazione dei propri sogni, la solitudine come condizione subita ma anche come scelta di vita e, su tutti l’amore per la vita, l’unico motore capace di far fiorire e rifiorire. 

Essere capaci di cambiare qualcosa è un po’ come essere liberi


Viola Ardone
Grande meraviglia
Einaudi Stile Libero Big, 2023

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Roberta Frugoni

Copywriter per lavoro e passione. Amante dell'arsenico e vecchi merletti, mangio la pasta solo se è al dente e mi lascio conquistare dalle riletture. Nel tempo libero fotografo e collaudo amache.

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