Intervista a Yuleisy Cruz Lezcano, autrice della silloge poetica “Di un’altra voce sarà la paura”

Intervista a Yuleisy Cruz Lezcano, autrice del libro “Di un’altra voce sarà la paura”, edito dalla casa editrice Leonida edizioni.
Dalla prefazione di Ivan Crico:
Con Di un’altra voce sarà la paura Yuleisy Cruz Lezcano si approccia al mondo straziante della violenza sulle donne […]. La silloge apre uno squarcio in un silenzio ancora troppo assordante accompagnandoci nel labirinto oscuro, per alcune vittime senza via d’uscita, di altri vissuti, volendosi fare testimone di tante storie di donne senza voce, di grida soffocate, ogni verso sembra parlarci in prima persona, generato dall’humus tragico di una serie di traumi patiti nel corso della vita fino a perdersi nella primordiale nebulosa dell’infanzia della poetessa […]. Con uno sguardo dolente, pieno di pietas ma anche di rabbia, Yuleisy Cruz Lezcano ci parla di corpi e anime che si sono dovute confrontare con l’assoluto spossessamento di sé, di ogni legame che le univa al mondo, messe all’angolo della vita, abbandonate dagli déi e dagli uomini, derubate da quella possibilità di impensabile svolta, di sogno di cambiamento, che ci sorregge nelle più tremende avversità.
L’intervista all’autrice: Yuleisy Cruz Lezcano
l titolo del libro, “Di un’altra voce sarà la paura”, è molto evocativo. Cosa rappresenta per te questa ‘altra voce’ e in che modo si collega al tema della violenza di genere che esplori nella raccolta?
Il mio scopo nello scrivere questo libro è stato fondamentalmente quello di dare voce a donne che a causa della violenza avevano subìto un tale trauma da non essere neanche in grado di esprimere il proprio dolore. L’ho scritto per prestare la mia voce poetica a queste donne, per dare voce a chi non ha potuto parlare, ma non solo… anche per creare coscienza riguardo il fenomeno, per sensibilizzare le persone, approfittando della diffusione e delle presentazioni del libro per parlare di educazione all’affettività, per parlare delle mie idee per intervenire, prevenendo il fenomeno prima che accada.
Il mio libro e in generale la mia poesia è un piccolo tributo a chi voce non la ha mai avuto, per scelta o per imposizione di un mondo dove è diffusissima la violenza mediatica.

Il libro raccoglie storie di donne vittime di violenza fisica e psicologica, trasformandole in poesia. Quali sfide hai incontrato nel narrare temi così dolorosi attraverso un linguaggio poetico?
Affrontare un argomento del genere, comporta una richiesta emozionale non indifferente. Dopo avere scritto alcune poesie del libro rimanevo stanca, sfinita emotivamente e, man mano che scendevo con le immagini nei particolari delle scene di violenza, sentivo la necessità di fare decantare le poesie, fare delle pause. Poi ancora oggi dopo le numerose presentazioni, a volte le emozioni e il dolore hanno la meglio su di me. Sentire durante le presentazioni altre persone che leggono le mie poesie, spesso mi fa rivivere le stesse emozioni che provavo quando ascoltavo queste donne narrare le loro sofferenze, le stesse emozioni di quando ascoltavo i fatti di cronaca che raccontavano delle violenze subite dalle donne e mi sembrava anche di riviverle, seppure in modo distaccato, perché ho superato le sofferenze ma non i dolori.
Hai presentato il libro al Salone Internazionale del Libro di Torino e hai ricevuto una nomination per il Premio Strega Poesie. Come hai accolto queste opportunità e quali riflessioni ti auguri di suscitare nel pubblico?
Presentare questa raccolta al Salone Internazionale del Libro ha rappresentato per me una preziosa vetrina sia mediatica, sia pratica; ha significato anche un’occasione per cercare di catturare l’attenzione di lettori sconosciuti, cosa che è sempre difficoltosa e non banale. Per fare questo mi sono posta da sola delle domande: “Cosa consiglieresti al lettore prima di iniziare a sfogliare le pagine di quest’opera?”. Idealmente potrei rispondere: “Lettore, preparati al peggio, apri la mente, perché per leggere questo libro è necessario sbarazzarsi dell’idea che si tratti di casi isolati, perché accadono giorno dopo giorno, in qualsiasi luogo, tempo e situazione”. E per le donne, se sono state vittime di violenza, dico: “Non siete sole, non siete le uniche, le violenze accadono continuamente e non dovete restare in silenzio”.
Mi auguro che«Di un’altra voce sarà la paura» riesca a toccare il cuore, che faccia accapponare la pelle, provocare tremore e orrore, perché questo è solo un millesimo di quello che provano ogni giorno le donne che subiscono violenza.

Uno dei punti chiave del tuo lavoro è la denuncia della “violenza mediatica” e del modo in cui la società tratta le vittime di femminicidio. Come credi che la poesia possa contribuire a contrastare questa forma di violenza?
La violenza mediatica è un tipo di violenza simbolica, che utilizza supporti mediatici. Specificamente, può definirsi come la pubblicazione o la diffusione di messaggi, immagini e opinioni stereotipate, che vengono usati da mezzi di comunicazione collettivi per riprodurre la dominazione, la mancanza di uguaglianza, la discriminazione nelle relazioni sociali, normalizzando la subordinazione delle donne nella società. La violenza mediatica ha il potere di rendere nuovamente vittima la donna, fornendo troppi dettagli sulla sua identità, i dettagli di un crimine, esibendo aspetti della sua vita privata, raccontando sulla sua famiglia, le sue attività. Spesso, si mette sotto accusa cosa stava facendo e dove stava andando la donna. Questo tipo di situazione può veicolare il pensiero che la vittima in qualche modo si è esposta a quello che le è accaduto. Nel caso di omicidi o delitti commessi contro uomini non esiste questa ricerca incessante del linciaggio pubblico, non si raccontano i dettagli delle loro vite private. Anche in questo si ha l’evidenza di quanto spesso sia sessista il modo di esporre i fatti di cronaca.
Anche questa violenza può essere se non eliminata, almeno minimizzata nei suoi effetti se viene avviato un processo culturale che porti finalmente alla caduta della disparità tra i sessi, in tutti gli ambiti. E come detto, la poesia può essere uno strumento assieme anche ad altri, per portare avanti questo processo culturale. La poesia ha il potere di parlare alle anime molto più in profondità, quindi ritengo che possa raggiungere questo scopo in modo maggiormente efficace.
La tua formazione professionale ha influenzato la scrittura del libro, specialmente nella rappresentazione dei traumi vissuti dalle vittime. Come riesci a bilanciare il tuo approccio umano e professionale nella stesura delle tue poesie?
Le mie lauree mi hanno aiutata ad entrare nel mondo del lavoro e a mantenere la scrittura come una passione. Sicuramente ora mi rendo conto che i miei studi, le mie letture, le mie meditazioni, le mie esperienze mi hanno comunicato un logos, un senso: credo che ho riscoperto in me stessa quello che La Fontaine considera che debba essere la cultura del poeta: esattamente, l’amateur de toute chose. A La Fontaine piaceva chiamarsi poliphile, perché lui credeva che il poeta doveva essere di molta curiosità. E così è stato per me. MI trovavo a leggere un testo di anatomia, di pedagogia, di istologia, ma anche di cucina tradizionale. Così ho sempre scelto letture totalmente diverse tra loro. E sto notando arrivando a questa mia possibile maturità, che tutto quello che ho letto e ho studiato, ritrova il suo senso nella mia scrittura. Inoltre scrivere poesie è dare espressione alla propria anima nel più istintivo modo possibile e quindi nulla è più facile se si ascolta la propria anima.
La poesia è uno strumento potente, perché può andare oltre e riuscire a dire quello che si vuole, creando immagini, cosa che in genere non fa il linguaggio comune.