Rete Miceliale

“Maniac” di Benjamín Labatut: recensione libro

“Se noi fisici avevamo già scoperto il peccato, con la bomba all’idrogeno conoscemmo la dannazione.”

“Maniac” di Benjamín Labatut

Maniac non è solo un libro. È una cavalcata attraverso lo spazio e il tempo, è un portale aperto sulle zone più luminose e le ombre più cupe della scienza.

Inizia con un suicidio-omicidio, quello del fisico e matematico Paul Ehrenfest. Una mente brillante ma tormentata che forse, prima di altri, ha guardato proprio attraverso quel portale. E che è stata definitivamente spezzata da ciò che ha visto.

Maniac è (ma non solo) la vita di John Von Neumann, fisico e matematico ungherese, che ci viene raccontata attraverso le parole di chi lo ha conosciuto. Di chi è stato suo maestro e suo collega. Di chi è stato sposato con lui. Di chi lo ha avuto come padre. La vita di una mente senza eguali, la vita di un uomo oscuro che non vedeva il mondo come tutti i suoi simili.

“Voi sostenete che certe cose una macchina non le può fare. Spiegatemi esattamente cosa una macchina non può fare, e io riuscirò a costruire una macchina che fa proprio quella cosa.”

Maniac è (ma non solo) un computer, il Mathematical Analyer, Numerical Integrator And Computer. Un prodigio tecnologico che ha contribuito a plasmare le meraviglie e i terrori del nostro presente.

Maniac è l’essenza dell’umanità, dei suoi pregi e dei suoi difetti. L’autore riesce a entrare nella mente dei testimoni a cui dà voce, riesce a trasmetterci la loro meraviglia nel rapportarsi a Von Neumann. Riesce a contagiarci con la paura che provavano nell’avere a che fare con una mente così aliena come la sua. Riesce a cartografare la sua eredità, il lascito di un uomo che non temeva quello che invece avrebbe dovuto terrorizzarlo. Un uomo che impugnava algoritmi, matematica e fisica come fossero banali arnesi meccanici con cui costruire le architravi del nostro futuro.

Maniac è un racconto corale, energetico, sorprendente e spaventoso. Una moderna Odissea di intelletti nella quale una grandiosa capacità narrativa si fa tramite tra noi e la scienza più pura. Un libro che è stato capace di tenermi incatenato alle sue pagine alle tre di notte, con il fiato spezzato dalla tensione, mentre raccontava di una partita a go tra il campione Lee Sedol e l’Intelligenza Artificiale AlphaGo.

Ci sono decine e decine di storie, dentro Maniac. C’è la caligine romantica di un passato nel quale le migliori menti del pianeta disegnavano insieme il nostro futuro. Ma ci sono anche gli errori primordiali che quelle divinità fin troppo umane hanno commesso durante quella genesi. Errori dei quali forse (o forse no) stiamo iniziando a comprendere la natura.

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“Maniac” di Benjamín Labatut, edizioni Adelphi. Rete Miceliale.

Maico Morellini

Maico Morellini, classe 1977 vive a Reggio Emilia e lavora nel settore informatico dove si districa tra cinema, programmi e letteratura. Il suo primo romanzo di fantascienza, Il Re Nero, ha vinto il Premio Urania 2010 ed è stato pubblicato l’anno successivo da Mondadori. Sempre per Mondadori nel maggio 2016 è uscito il romanzo La terza memoria. Nel 2018 il romanzo Il diario dell’estinzione edito da Watson ha vinto il Premio Italia 2019 come miglior romanzo fantasy. Nel 2019 ha pubblicato all'interno dell'Urania Millemondi Strani mondi il racconto Fatum e con Providence Press il romanzo Il ragno del tempo, vincitore del Premio Italia 2021. Ha partecipato a diverse antologie tra cui 365 Racconti sulla fine del mondo, Propulsioni di improbabilità, I sogni di Cartesio e Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici? e pubblicato altri diversi racconti.

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