Lunedì Poesia a cura di Giulia Fuso. Per la puntata di oggi di Lunedì Poesia Giulia Fuso legge per noi “Poesie scelte 1953-2010” di Luigi Di Ruscio, Edizioni Marcos y Marcos.
Lui è l’amatissimo Luigi di Ruscio.
Il libro è “Poesie scelte 1953-2010”
Edito da marcosymarcos
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Quando ho scoperto mio padre che guardava le formiche
il sole spaccava le pietre e intontiva i muratori senza cappello di carta
una buca scura intorno granelli di terra impastata
e il brulichio delle formiche con troppo grandi semi trascinati
e mio padre con schifo ha strisciato il piede sul nido
così ho imparato a guardare le formiche e ad avere questo schifo
e l’umano in mio padre è in questo astratto schifo
questo assalto dei sensi della nullità che mio padre affoga
con la partita a stoppa e ogni vittoria e ogni perduta salutarla con vino
e la sbornia gli porta una sorta di furore disperato
e scaraventa piatti e bicchieri contro il muro
e si condanna in questo furore o nel tacere
e nella fatica che è una battaglia perduta senza senso e senza scopo
mio padre ha scoperto nella formica la propria immagine e la distrugge
il vino la fatica il fumo gli scassano il petto con una tosse paurosa
che è stata presente in tutti i miei sogni della mia infanzia
il vizio di guardare la formica ha perduto mio padre
ed io ora vivo in questo formicaio con la stessa rabbia di mio padre
che distrugge preso da schifo la laboriosa formica.
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Buon ascolto!
Sinossi del libro “Poesie scelte 1953-2010” di Luigi Di Ruscio
La sua scrittura si produce al crepuscolo in un appartamento della periferia di Oslo, nella stanza piena di carte in cui domina una vecchia Olivetti. Nessuno in casa parla l’italiano, né sua moglie Mary né i quattro figli, così come nessuno immagina in fabbrica la sua attività di scrittore, ma è proprio questa doppia condizione di parzialità a garantire alla sua poesia il segno della totalità compiuta. Essere ‘sotto’ e nel frattempo essere ‘fuori’ significa per lui non poter essere che lì, eternamente, sulla pagina. Egli non deve nemmeno liberarsi di zavorra eccessiva e, pure se in realtà ha letto tutti i libri, proclama la propria ignoranza menzionando pochissimi riferimenti d’avvio come i sillabati di Ungaretti e Lavorare stanca di Pavese. Benché parli volentieri neanche in italiano ma in dialetto fermano, in realtà conosce le lingue, traduce le liriche di Ibsen dal norvegese, legge di continuo i filosofi, ed è dalle lezioni di estetica di Hegel che deduce una volta per tutte l’idea secondo cui la poesia corrisponde a una coscienza disgregata che nella sua inversione si esprime in un linguaggio scintillante capace di verità. Per questo in ogni poesia di Di Ruscio c’è potenzialmente tutta la sua poesia e la sua intera produzione ha la circolarità di un autentico poema.
Dall’introduzione di Massimo Raffaeli.