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“Le schegge” di Bret Easton Ellis: recensione libro

L’’impossibilità di affrontare il reale è il nucleo di tutto il lavoro di Bret Easton Ellis. Da Meno di Zero a Lunar Park, passando ovviamente per American Psycho e il meno riuscito Glamorama, tutto quello che l’autore ci offre sono un paio di occhi spesso socchiusi, uno sguardo costretto a raccontare, a noi e a sé stesso, una piccola porzione di verità.

Le schegge di Bret Easton Ellis

Sta qui il gioco di uno dei più grandi scrittori della sua generazione: la sfida lanciata al lettore di raccogliere insieme a lui un mucchio incoerente di frammenti, di collegare dei pezzi cedendo parte delle nostre certezze. Tutto questo, ci dice lo stesso Ellis all’inizio del suo nuovo romanzo, Schegge, non è più necessario. Ogni cosa è risolta, l’esigenza di mentire è sparita. Finalmente è in grado di offrirci l’intera verità.

La torsione su cui si gioca l’intera storia è essenzialmente questa e non sorprende quindi che l’impresa debba cominciare dal periodo della sua formazione, dall’ultimo anno del liceo, in una delle scuole più esclusive di Los Angeles. Gli ingredienti sono quelli che ci aspettiamo: un gruppo di ragazzi belli e ambiti che si muovono in ville esclusive lasciate vuote da genitori assenti tra feste, manifestazioni sportive, cene. A minacciare la scintillante routine dei protagonisti ci sono due personaggi che appaiono nello stesso istante.

Il clan di Bret

L’aggressione interna arriva da Robert Mallory, un ragazzo problematico e bugiardo che si inserisce nello stesso clan di Bret, attorno al quale si muove però un serial killer, a minare dall’esterno la sua cerchia di amici, Il pescatore a Strascico, enigmatico e spietato assassino di minorenni. L’unico che pare in grado di rendersi conto del pericolo che incombe, l’unico in grado di affrontare la realtà in una Beverly Hills anestetizzata da sesso droga è il nostro autore. Ed è questo forse l’anello debole del romanzo di Ellis, la pretesa di convincerci che questa volta è il che caso di fidarci del narratore, che le parole che verranno scritte sono lontane dalla direzione che il romanzo inevitabilmente prenderà. Intendiamoci, il gioco in alcuni tratti resta divertente ma il problema è che, adesso, ne conosciamo le regole. E se si accorcia la distanza tra quello che ciò che vediamo e quello che pensiamo di vedere tutto perde fascino.

Resta un grande ritmo, un perdurante senso di vuoto ed estraneità, una colonna sonora mai così centrata e centrale ma se, come scrive Ellis nella prima riga di Schegge, ‘un romanzo è un sogno che chiede di essere scritto ‘allora purtroppo questo sogno non è uno di quelli più affascinanti e Schegge sembra lontano da quelle visioni che invocano conciliazioni impossibili e da cui non vorremmo risvegliarci mai.

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“Le schegge” di Bret Easton Ellis, edizioni Einaudi 

Recensione a cura di Simone Costa

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Redazione

Redazione della pagina web www.thebookadvisor.it

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