Perché si dice “solipsista”?
Buon inizio settimana a tutti voi, miei cari.
Oggi andiamo subito subito al sodo che è un lunedì con alzataccia compresa e a malapena riesco a tenere gli occhi aperti, figuriamoci i neuroni attivi!
Oggi ci occuperemo di un aggettivo forse troppo poco utilizzato ma che personalmente mi piace molto e che descrive bene alcune realta odierne, ossia SOLIPSISTA. Vedremo l’origine di questa parola e cercheremo insieme di capire chi è il solispista.
Innanzitutto diciamo che l’aggettivo solipsista è mutuato dalla concezione filosofica di solipsimo, parola latina composta da solus (solo) e ipse (stesso). Dalla Treccani, leggiamo: “In filosofia, atteggiamento di chi risolve ogni realtà in sé medesimo, o dal punto di vista pratico (ponendo a metro delle azioni il proprio interesse personale) o da quello gnoseologico-metafisico (considerando l’universo come semplice rappresentazione della propria, particolare coscienza). Dall’Ottocento il solipsismo, rigorosamente inteso, è la posizione teoretica che assume la coscienza empirica, individuale, come fondamento di ogni forma di conoscenza: inizialmente connesso all’idealismo soggettivo, cioè alla dottrina che risolve ogni realtà nei contenuti soggettivi, particolari, della coscienza, è parzialmente superato nell’idealismo trascendentale di I. Kant, che considera l’autocoscienza pura dell’«io penso» come fondamento universale e oggettivo del conoscere, cui tuttavia è ancora contrapposta la realtà autonoma della «cosa in sé»; il suo completo superamento avviene solo nell’ambito dell’idealismo oggettivo, in quanto posizione filosofica che elimina ogni contrapposizione tra la coscienza e la realtà”
Cercando di spiegare in parole un po’ più povere questa dottrina potremo dire che ciascuno di noi sa che esiste. Conosce i propri pensieri e le proprie percezioni e in effetti, non c’è prova che questi non siano l’unica realtà oggettiva. Tutto l’universo di conoscenza e morale potrebbe essere un colossale film girato e proiettato dalla nostra coscienza, a nostro singolare uso: io esisto, e nient’altro. Si tratta di una dottrina che grossomodo coincide con quella dell’idealismo soggettivo e anche se non è più in voga, certi suoi profili sono ben riconoscibili a tutt’oggi in certe tendenze culturali.
Compreso ciò, ne deriva che il SOLIPSISTA sia l’individualista estremo. In questo senso il massimo egoismo trova una dimensione nuova, ed eccezionalmente schietta: me ne frega solo del mio pro perché io esisto, gli altri non so, e perciò me ne importa poco.
Ne deriva che, tutto quello che fa l’individuo è parte di una morale prestabilita dal proprio io, ubbidendo pertanto solamente a quello che quest’ultimo dice, al di là delle leggi prestabilite dal mondo esterno e da altre soggettività.
In conclusione possiamo vedere da noi stessi i limiti propri di questa dottrina e del solipsista stesso, perché se è vero che nella vita esiste un’asimmetria ossia che abbiamo esperienza diretta solo di noi stessi e che degli altri e dei loro stati interiori ne abbiamo una solo ipotetica e inferenziale, questo non giustifica un arroccamento su sé stessi. Immaginazione ed empatia sono forme di conoscenza, rispetto a cui il solipsista resta semplicemente ignorante e la solidarietà è cultura, al modo in cui lo sono la poesia e l’alta scienza.
Bene, detto ciò vi saluto e torno al mio lavoro… laddove essere solipsisti è praticamente impossibile.
Etimologioia, una rubrica a cura di Donatella Maina Gioia su The BookAdvisor.