Etimologioia

Perché si dice menare il can per l’aia?

Buongiorno e buon lunedì a tutti, pronti ad iniziare la settimana col modo di dire che ho scelto per voi? Bene allora smettiamo di menare il can per l’aia e diamoci da fare.

Non chiedetemi perché sono già 3 settimane che si parla di battere o menare, la scelta vi giuro che è casuale o forse il mio subconscio sta cercando di dirmi qualcosa.
Ma veniamo a noi.
Menare il can per l’aia è una espressione colloquiale della lingua italiana. Chi mena il can per l’aia continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito. Si tratta di un’espressione di origine abbastanza antica, come dimostra l’uso di due termini ormai scomparsi nell’italiano contemporaneo: menare nel senso di condurre e l’aia, il cortile interno delle fattorie, L’espressione è comunque utilizzata ancora oggi con una certa frequenza. Il senso figurato è chiaro: compiere azioni che risultino inutili.
Il nostro modo di dire si basa su una metafora tutt’altro che di facile comprensione nella nostra moderna società industriale (o, piuttosto, post-industriale): si riesce ad afferrarne il senso solo facendo un tuffo nel passato di un mondo contadino – quello anteriore alla meccanizzazione delle attività agricole – che non c’è più e che sopravvive al limite nelle rievocazioni di sagre di paese o manifestazioni simili. In esso è infatti implicito un riferimento all’operazione di battitura del grano, finalizzata alla separazione dei chicchi dalla pula, un tempo effettuata distendendo i covoni sull’aia e facendovi passare sopra gli animali pesanti della fattoria, in genere i buoi (bendati, perché non mangiassero i chicchi spulati). Menare (cioè ‘condurre’) lungo l’aia, per lo scopo detto, un animale di piccola stazza come il cane non sarebbe quindi servito a nulla, se non a perdere (e quindi prendere) tempo.

Anche qui però abbiamo una possibile seconda interpretazione di questo simpatico modo di dire.
Questa spiegazione alternativa accosta menare il can per l’aia al proverbio l’aia non è luogo per cani da caccia.
L’accostamento è presto spiegato: l’ambiente “naturale” di attività dei segugi è il bosco, dove tra alberi, arbusti e cespugli si nascondono lepri, fagiani, quaglie, ecc.; pertanto slegare un cane da caccia nell’aia, dove non ci si può aspettare di trovare selvaggina, risulta una mera perdita di tempo.

Sempre a voi la scelta di quale delle due spiegazioni vi sconfinferi di più, io intanto vi saluto e vi rimando a lunedì prossimo.

Etimologioia, una rubrica a cura di Donatella Maina Gioia su The BookAdvisor.

Redazione

Redazione della pagina web www.thebookadvisor.it

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