Quando si parla di migrazione spesso ci si limita a riflettere sul semplice spostamento fisico, che porta il migrante ad abbandonare il proprio paese d’origine per approdare in quello di arrivo. Ma la migrazione è un processo molto più complesso, che comprende una serie di micro e macro fratture che segnano il migrante per tutta la vita. Abbandonare le proprie radici, infatti, significa lasciare dietro di sé la propria identità, che deve essere ricostruita e riaffermata in un altro luogo, spesso percepito inizialmente come freddo, estraneo, distante.
“Era ormai tardi per tutto, così trascinò sul ponte la sua valigia di cartone grande quanto un dizionario e si mise in fila con altri diciassette minori, ai quali dopo l’appello venne raccomandato di presentarsi ogni giorno nell’ufficio del capitano. Mamma non conosceva nessuno, ma quando alzò gli occhi vide che tutti e diciotto, lei inclusa, stavano piangendo”.
È questo il cuore della narrazione di Mamá, una sorta di memoire familiare dell’autore argentino Jorge Fernández Díaz, che racconta sotto forma di romanzo la vera storia di Carmen, sua madre, costretta a lasciare la Spagna degli anni ’40, uscita da poco dalla guerra civile che devastò il Paese aprendo le porte alla dittatura di Francisco Franco, per emigrare in Argentina. A soli quindici anni Carmen viene messa su un piroscafo che attraverserà l’Atlantico, dove ad attenderla ci sono gli zii paterni e una vita da ricominciare da capo, da ricostruire da zero.
“Nel dormiveglia sentiva confusamente dagli altoparlanti che cercavano una minorenne, vedeva passare marinai che chiedevano con insistenza di una certa María del Carmen Díaz. […] Gli altoparlanti continuavano a reclamare la presenza di quella tal María del Carmen Díaz nell’ufficio centrale, ma della ragazzina, mentre il piroscafo brulicava di gente, risaltava solo l’assenza. Questo finché mia madre si alzò di scatto e terrorizzò la vicina esclamando: «Dio santo, sono io!». Il marinaio più vicino la afferrò per un braccio e la trascinò di peso dal capitano.. […].
«Per prima cosa devi dirmi dov’eri e perché non rispondevi agli appelli, figliola» disse in tono pacato. «Abbiamo pensato al peggio».
«Il punto è che non mi chiamo così, signore».
«Come? Non ti chiami María del Carmen Díaz?».
«No, quello è il nome scritto sui documenti, signore. Ma io mi chiamo Carmina. Mi hanno sempre e solo chiamata così, signor capitano». […]
«Ascoltami bene, gioia. A partire da adesso ti chiami María del Carmen Díaz. Carmina non esiste più, hai capito? Carmina è sparita per sempre»”.
Inizia così il processo di riterritorializzazione di Carmen, che deve far fronte a diversi tipi di shock: quello ambientale, essendosi trasferita da un paesino di montagna delle Asturie a una grande città argentina; quello linguistico, essendo derisa dai compagni di scuola argentini per il suo parlare la varietà asturiana dello spagnolo; quello sociale e familiare, essendo anche gli zii immigrati spagnoli la cui vita è caratterizzata dalla ruvidezza e dalla povertà.
“Si riconoscevano a prima vista sulla banchina del pre-imbarco: erano tutti argentini in Spagna e spagnoli in Argentina […]”.
Mamá di Jorge Fernández Díaz è un libro di una bellezza inaudita, che racconta con una profonda umanità le avventure migratorie di una bambina costretta a fronteggiare da sola il costante senso di sradicamento che la accompagna, ma che diventa donna grazie alla tenacia, al coraggio e alla capacità di assorbire e processare il dolore, che le permetterà di ricreare una famiglia nonostante gli oltre diecimila chilometri che la separano da quella che sente e percepisce come la sua casa: il piccolo paese asturiano di Almurfe.
“Mamá” di Jorge Fernández Díaz, edizioni Nutrimenti. Libri in Pillole.