Libri in pillole

“La famiglia di Pascual Duarte” di Camilo José Cela: recensione libro

Il cervello è uno degli organi più affascinanti del corpo umano. Mi è sempre piaciuto immaginarlo come un grosso mobile suddiviso in scompartimenti all’interno dei quali immagazziniamo e cataloghiamo ogni singola sollecitazione esterna. Si accumulano informazioni, sensazioni, idee, riflessioni, movimenti, tutto ciò, insomma, che richiede l’attivazione delle sinapsi.

Ed è un mobile in cui c’è anche uno spazio particolare, forse piccolo, chissà, ma esistente. È quella zona d’ombra in cui custodiamo il nostro lato oscuro, generalmente alimentato da quelle esperienze torbide, ruvide, dolorose, che lasciano in eredità pacchetti di terrore, di alienazione, di delusione, anch’essi tuttavia da sistemare e catalogare, volenti o nolenti, all’interno del nostro “mobile”.

Pascual Duarte è esattamente un uomo come noi, il cui lato oscuro, però, ha delle radici ben precise. Lo si intuisce già dal titolo del libro, in cui José Cela, argutamente, ci introduce il protagonista in stretta relazione con la sua famiglia. Perché per Pascual le mura domestiche non costituiscono un rifugio, né un luogo sicuro, bensì un teatro di continui conflitti, in cui dominano un padre gratuitamente violento e una madre alcolizzata, crudele, maligna.

“Era deplorevole la condotta dei miei genitori. Alla loro insufficiente educazione si univa la mancanza d’ogni virtù e quella loro assoluta insofferenza ad accettare la volontà di Dio […] e ciò li portava a non badare ai principi morali e a non saper frenare gli istinti, sicché accadeva che qualsiasi motivo, anche il più futile, era sufficiente a scatenare una tempesta che si prolungava per giorni e giorni senza che se ne potesse prevedere la fine”.

Ed è qui che il cervello di Pascual inizia ad assorbire la malvagità, scoprendo ben presto, attraverso l’inaffettività della famiglia, il suo lato oscuro, con il quale si ritroverà a fare i conti nei momenti cruciali della sua vita. Per Pascual quello della violenza e della cattiveria diventa un richiamo irresistibile, che lo tormenta, che non gli lascia scelta, che lo obbliga a entrare in una sorta di ossessione che segnerà la sua esistenza e che porterà con sé le relative, e inevitabili, conseguenze.

“«È che il sangue sembra che sia il companatico della tua vita». Quelle parole mi rimasero impresse nel profondo del cuore come a lettere di fuoco e così scolpite, come un marchio, le porterò con me fino alla tomba”.

La famiglia di Pascual Duarte è un viaggio all’interno della mente del protagonista, che con una naturalezza disarmante ci racconta la sua vita, i suoi crocevia, le sue scelte, la sua continua battaglia contro l’istinto, che lo richiama con voce insistente, che lo assilla e non gli consente di soffocare il suo lato malvagio, contro cui prova a ragionare, contro cui prova pacatamente a ribellarsi, ma che progressivamente si gonfia fino a diventare un mostro talmente potente contro il quale diventa praticamente impossibile battersi.

“Avrei voluto mettere la terra frammezzo la mia ombra e me stesso, fra il mio nome e il mio ricordo e me stesso, fra il mio sangue e me stesso, questo me stesso di cui, a togliergli l’ombra e il ricordo, il nome e il sangue, rimarrebbe così poco…”.

“La famiglia di Pascual Duarte” di Camilo José Cela, edizioni Utopia. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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