La rabbia è uno tsunami. Monta all’improvviso dopo aver covato, a volte, a lungo e in silenzio. Rimesta sensazioni spiacevoli, ricordi bastardi, sputandoli poi con una stizza forte. Impressionante. Prendi fuoco per qualcosa che non ti piace, che ti fa male, che ti fa irritare. Perdi il controllo, in un attimo.
In Cuore nero di Silvia Avallone entri nel chiaroscuro di un’anima in frantumi, persa per sempre. Emilia, per salvarsi, decide di vivere in un piccolo borgo di montagna, a Sassaia. Ha trent’anni e veste da adolescente. Si trascina, con le sue valigie, lungo la sopravvivenza. Ha deciso di isolarsi, lei che è una esclusa. Nella casa accanto alla sua vive Bruno. Entrambi sono divorati una solitudine bestiale. Tutti e due hanno conosciuto il male: lui perché l’ha subito e lei perché l’ha compiuto. Sassaia è la loro fuga, il punto in cui riconosceranno il loro futuro. Comprendono che le opportunità non vanno sprecate e che la rabbia, quella più cupa, più nera, vive dove c’è troppa aridità.
Il romanzo è potente. La storia è forte. La scrittura ti scompone l’anima. Te la squassa e te la riattacca quasi a lenire ogni emozione che straripa con una tale energia tanto da sentirti vinto da una storia e da uno stile linguistico robusti, vigorosi. Il lettore è spinto e sospinto verso una serie di riflessioni che lo braccano a delle risposte precise.
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“Cuore nero” di Silvia Avallone, edizioni Rizzoli. Dream Book.