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“Il libro delle case” di Andrea Bajani: recensione libro, podcast, reading

Il libro delle case di Andrea Bajani, pubblicato da Feltrinelli, fa parte delle proposte per il Premio Strega 2021, per il quale è giunto tra i cinque finalisti, come per il Premio Campiello 2021. L’autore ripercorre la sua vita dal punto di vista delle dimore in cui ha abitato, saltando avanti e indietro nel tempo tenendo come faro la propria esistenza e due punti X della storia dell’ultimo novecento: l’omicidio Moro e il delitto Pasolini.

Tutto viene ridotto a una funzione, ne Il libro delle case di Andrea Bajani. Per le persone, ruoli: Madre, Padre, Io… così come i luoghi per l’autore diventano la Casa del sottosuolo, La casa della tartaruga, e altri ancora. Ma procediamo con ordine iniziando dalla trama, riprendendola direttamente dalla velina, un frammento: 

“La storia di Io salta di casa in casa, su e giù nel tempo, ciascuna è la tessera di un puzzle che si compone tra l’ultimo quarto del millennio e il primo degli anni zero: è giovane amante di una donna sposata in una casa di provincia, infante che insegue una tartaruga in un appartamento di Roma mentre dalla tv si rovesciano le immagini di Aldo Moro sequestrato e del corpo di Pasolini rinvenuto all’Idroscalo; è marito in una casa borghese di Torino, bohémien in una mansarda di Parigi e adulto in carriera in un albergo londinese; ragazzo preso a pugni dal padre in una casa di vacanza, e studente universitario buttato sopra un materasso; poi semplicemente un uomo, che si tira dietro la porta di una casa vuota.”

 

Come dicevamo, tutto viene ricondotto alla sua funzione primigenia. L’intento dell’autore sembra essere quello di decostruire per purificarsi, e arrivare in nuce – o tornare – alle proprie radici. Così facendo inoltre il lettore può localizzarsi fisicamente, ben più che emotivamente, nel quadro in cui Bajani racconta la sua vita, ma anche la vita di tutti quelli che si sono fatti un bel pezzetto d’Italia: gli anni settanta, gli anni ottanta, l’ultima vera evoluzione radicale, l’ultima vera epoca differente, quella di cui va di moda parlare, presentare come migliore, come oasi e in definitiva, ultima Atlantide

È anche un modo di riproporre un centrismo che, seppur sorpassato, non può essere dimenticato per rileggere i nostri percorsi, e rivedere la strada che ci ha portato fin qui. Ben differente dall’io-centrismo moderno in cui quello che siamo viene definito da quello che pensiamo di noi stessi e che di noi stessi presentiamo; fino a pochi anni fa infatti ciò che eravamo veniva definito da cosa muovevamo, e da come percepivamo e vivevamo il contesto. Oggi piuttosto avviene che ciò che siamo dipenda da cosa di noi stessi viene percepito dagli altri, quasi cercando un’attestazione dal pubblico. Senza pubblico, in un teatro vuoto, è il teatro stesso a divenire spettacolo: è la casa.

Leggiamo uno stralcio del libro.

“La prima casa ha tre stanze da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno. La stanza da letto dove dorme il bambino, che per convenzione chiameremo Io, è in realtà uno sgabuzzino con una brandina. È un po’ umido, come del resto tutta la casa. Non ha finestre ma è confortevole ed è vicino alla cucina. L’acciottolio delle stoviglie, il toc toc regolare del coltello sul tagliere, il getto d’acqua prolungato nel lavello sono probabilmente tra i primi ricordi di Io, anche se non se ne ricorda. Così come non ricorda il tonfo ammorbidito dello sportello del frigorifero che si chiude, o la resistenza a strappo di quando viene aperto. È la piccola polifonia della cucina: percussioni di metalli con contrappunti di ceramica, getti idrici, ronzio del frigo, la ventola della cappa sopra i fuochi.”

E poi ancora:

“In quell’oscurità Io compie i suoi primi movimenti. Gli oggetti e il mobilio spingono le loro ombre sul pavimento, sconfinano, allagano l’appartamento; salgono sui tavoli, sui davanzali, sulla cesta di frutta di ceramica sempre esposta al centro della tavola. Io impara a muoversi tra quelle ombre, a calpestarle, a esserne travolto. Gattonando per la casa, a volte scompare dentro un’ombra, o lascia fuori solo una mano, oppure un piede, che se ne stanno abbandonati nel chiarore: Io viene fatto a pezzi dall’oscurità, lascia pezzi di sé sopra il tappeto.”

Qualcuno ha mosso a Il libro delle case di Andrea Bajani la critica di essere un libro fin troppo confortevole per un candidato al Premio Strega, proposto  – lo ricordiamo – da Concita De Gregorio. Ma se si presenta cautamente riflessivo credo che sia perché l’autore ha preferivo lasciare al lettore il compito di farsi tirare dentro i suoi stessi ricordi, e sfido chi l’abbia letto a non immaginare se stesso, il proprio passato, la propria memoria sensoriale delle prime case da bambino, dei nonni, del primo animale domestico.

Vale la pena ricordare che gli anni settanta e ottanta sono stati gli ultimi in cui abbiamo posseduto un’infanzia condivisa, con un paradigma di eventi e canoni e tappe e cartoni animati e personaggi e ruoli e abitudini più meno simili per tutti, che ci hanno definiti come nazione, come popolo. Dopo quegli anni, l’esperienza di formazione è andata frammentandosi e sbriciolandosi in centomila possibilità differenti, in cui ognuno di noi è venuto su a modo suo. Due persone di quindici anni che oggi si parlassero per confrontare la propria infanzia, dubito che troverebbero troppi fattori comuni.

Non c’è dunque bisogno di essere aggressivi, se vi si parla di un terremoto secolare; la delicatezza di Bajani infatti sostiene un passaggio generazionale violentissimo, e di un tempo che non esisterà mai più. Non è la sua prima incursione su questi piani di indagine, seppure non tutti nella narrativa, basta dare un’occhiata alla sua produzione letteraria.

Ne Il libro delle case di Andrea Bajani conta infatti anche la plasmabilità, l’adattattività di cui eravamo capaci una volta, di essere diversi via via che i luoghi intorno a noi si diversificavano: dormitori lavorativi, stanze d’albergo, domicili familiari, alcove. Secondo me è un valore che va celebrato, e non nel senso di perdere sostanza e prendere la capricciosa forma dei vari eventi, piuttosto l’accettare la propria instabilità, la propria indefinitezza, negli anni più indefiniti della nostra storia, quando – confusi dall’eccesso del prima e dall’insicurezza del domani – abbiamo deciso chi volevamo essere… e chissà che non ci siamo sbagliati.

Non c’è dunque bisogno di essere aggressivi, se si parla di un terremoto secolare; la delicatezza di Bajani sostiene un passaggio generazionale violentissimo e di un tempo che non esisterà mai più.

Il libro delle case” di Andrea Bajani, edizioni Feltrinelli, 2021. Anonima Lettrice Italiana.

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Ali

Leggo, scrivo, parlo, ma soprattutto parlo. E poi leggo e scrivo.

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