Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Ho sciolto i capelli. Abbracciami Frida” di Agnese Coppola, edito da La Ruota Edizioni.
La voce poetica che abbraccia la sua guida
Ogni poeta ha nella sua voce il riverbero dei poeti amati, ammirati, guida nei momenti delle parole mancante o inafferrabili, pur essendo pesantemente presenti, ma nella parte stretta dell’imbuto poetico a cui ogni autore ricorre per filtrare la propria voce. Come Virgilio è stato il vate, maestro e profeta nella Divina Commedia di Dante, che ne fece la propria guida attraverso i gironi dell’Inferno e del Purgatorio, così ogni autore tende a farsi interprete anche della propria formazione poetica. E per avere una voce chiara è necessario – a parere di chi scrive – una sapienza poetica salda. È da questa riflessione che parte l’analisi dell’interessante raccolta poetica firmata da Agnese Coppola, “Ho sciolto i capelli. Abbracciami Frida” (edito da La Ruota Edizioni).
In particolare – ma non solo – se ci si sofferma a pagina 25, dove l’autrice “stravolge”, senza di certo macchiarlo, alcuni versi Montaliani:
«È tempo di vita.
Scenderò da sola
senza darti il braccio
le scale tortuose di noi.
Avrò il mio equilibrio
anche tra le edere
sospese delle tue battute», scrive la Coppola, operando questo richiamo opposto nella semantica, ma coerente con l’influenza poetica.
Agnese Coppola e la rinascita attraverso la figura di Lilith
Perché quello di cui parla la poeta è una rinascita, un distaccamento sano e cercato, voluto con forza, necessario per poter essere, l’evento che genera il gesto: «Ho sciolto i capelli: / è tempo di vivere». Non a caso sceglie – e qui la sapienza della Coppola si fa sempre più forte e definita – la figura di Lilith:
«Per gli arriva voglio presentarmi
io sono Lilith
arrivo dal sogno antico di Mesopotamia,
dove ero dea, forza, Tempesta,
colei che scuote, agita, turba, disturba».
Nei versi della Coppola l’amore disfunzionale e violento
La figura della donna, del suo amore, di donna, madre e ancora di donna, nelle maglie di una disfunzione chiamata amore, poi riconosciuta come violenza. Procede per passi di coerenza la poeta, per arriva al fulcro di un universo di cui tanto si parla, ma di cui poco si sa, facendo della sproporzione il marchio della dialettica. La Coppola no, lei arriva dritta e – ancora una volta sapientemente – non gira intorno e parla di:
«Una carezza mal data
un neo scuro sotto l’occhio:
piovono gocce di rimmel.
Ma ho avuto ancora fede
e ti ho amato.
[…]
Non voglio le mimose
Per festeggiare
un giorno se
sono tante le ferite da guarire
per ogni donna che lascia
le sue scarpette rosse».
Nella “terra di mezzo”: l’incontro della poeta con il lettore
La poeta narra in versi la divisione, quegli estremi, i capi della corda tesa dalla stessa persona, una che cerca di andare, l’altra che tenta di rimanere, e si posiziona al centro, nella «Terra di mezzo / A me manca sempre un pezzo». Per poi approdare in un dove che per quanto simbolo di rinascita, non ci dispenserà dal dove che è stato:
«la Madonnina brilla e io
ho sciolto i capelli
in un groviglio di voce
mentre il Vesuvio mi scalda
e la sua lava scorre nelle vene».
Ed è in questo mentre che nasce la poesia della Coppola e il suo incontro con il lettore, un incontro fatto di ascolto, immedesimazione, empatia, un volo simbolo di libertà, auto-coscienza e determinazione. E sopra ogni cosa, gratitudine. Perché abbracciare l’Altro, per mezzo della parola, è il più delicato dei modi per viversi reciprocamente.