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“Revolutionary road” di Richard Yates: recensione libro

Richard Yates ha scritto questo romanzo a 35 anni nel 1961. Quando uscì per i tipi della Little Brown Company, Tennessee Williams scrisse «Se nella letteratura americana moderna ci vuole qualcos’altro per fare un capolavoro, non saprei dire cosa».

C’è un tale, si chiama Frank. Si è sposato molto giovane a una bellissima ragazza, April.
Si amano, si desiderano, pensano di essere unici e speciali, come tutti gli innamorati.
Vivono di baci e di sogni, l’amore basta loro come nutrimento.

C’è una coppia, i Wheeler. Si sono sposati molto giovani, si amano e aspettano un bambino. Il loro appartamento di Bethem street “dove il tranquillo margine occidentale del Greenwich Village va a disperdersi in silenziosi magazzini portuali” non è più sufficiente, ora che sono una famiglia.

Decidono quindi di trasferirsi in collina, a Revolutionary Hill, Conneticut.

Una vita al confine

Revolutionary roadUn quartiere residenziale, giovane e scintillante come loro.
In Revolutionary Road, Frank e April iniziano la loro nuova vita che ben presto, però, si rivela una vita “al confine di”. Sembrano vicini, vicinissimi a ciò che vorrebbero essere, eppure rimangono sempre nei pressi di un’immaginaria linea di demarcazione, un confine fra la vita sognata e quella vissuta.
Al confine della grande Mela. Sono a un tiro di schioppo da New York ma vivono nella tranquilla quotidianità di una rassicurante campagna.
Al confine della middle class. Sono benestanti ma livellati alle tante altre coppie della loro generazione.
Al confine dell’arte. April doveva diventare attrice, eppure fa la casalinga e raccoglie fiaschi con una compagnia di dilettanti che si esibisce nel teatro di un liceo.
Al confine di un matrimonio. Davvero quello tra Frank e April si può definire amore? Davvero?
Al confine della felicità. È sufficiente sentirsi superiori e non conformati al modello imposto dalla società per salvarsi dal “disperato vuoto di ogni cosa in questo paese”?

Una società raccontata in un paesaggio

A quel genio di Yates bastano 125 parole (le ho contate) per mostrarci i brandelli del sogno americano e come quell’aggettivo attribuito alla strada del loro bel quartiere, quel “revolutionary”, sia in realtà una nota stonata, oltre che un efficacissimo anestetizzante.


“Gli attori della Compagnia uscivano dalle porte delle rispettive cucine e, mentre sostavano un istante per abbottonarsi il cappotto o infilarsi i guanti, ai loro occhi appariva un paesaggio nel quale sembravano davvero a loro agio soltanto poche case vecchissime e smangiate dalle intemperie: un paesaggio che faceva sembrava le case in cui loro abitavano senza peso e provvisorie, buttati a casaccio, come una quantità di giocattoli nuovi di zecca lasciati fuori dall’uscio durante la notte, prendere la pioggia. Né più adeguate sembravano le loro automobili, inutilmente massicce e luccicanti di colori confetto, e che parevano sussultare ad ogni schizzo di fango, mentre avanzavano lente, con aria imbarazzata, lungo le stradicciole sconnesse che da ogni direzione conducevano al profondo, piatto nastro asfaltato della Statale 12.”  

Eccolo qua Yates.  Le casette tutte uguali, linde e pulite ma inesorabilmente inconsistenti, “senza peso e provvisorie” come tanti americani in quegli anni Cinquanta intrisi di Maccartismo, dove il conformismo era un valore a cui adeguarsi o dal quale cercare di fuggire.
Un mondo preconfezionato, bello, zuccheroso e dai toni pastello. Interamente progettato per nutrire a vitamine e sicurezza un popolo uscito dalla guerra. Non importa se per tutto il libro Frank&co. consumano una quantità di alcool e sigarette impressionante. Fa parte del quadro. L’apparenza è borghese, bei vestiti, belle case e bei bambini ben nutriti.
Il disfacimento interiore lo percepiscono in pochi e quei pochi solo di sfuggita.
Frank è uno di quelli.  I suoi gesti, le sue posture controllate, studiate e sbirciate nel riflesso della grande finestra panoramica che tanto pregio dà alla loro bella casa sembrano far parte di una pièce teatrale senza fine.
Un atto unico che si chiama vita, di cui lui attende un intervallo che non suona mai. Eppure sembra sincero, il nostro Frank. Eppure sembra amare April e per lei accetta perfino di trasferirsi in Europa.
E poi c’è lei, l’attrice. Una April che si vede nel riflesso degli occhi di lui.
La battagliera April che combatte per essere migliore, per avere una chance nella vita, perché la fuga a volte sembra l’unica via d’uscita quando il teatro (della vita) è in fiamme.

Esattamente come nello spettacolo teatrale che apre il libro, le pagine si arricchiscono di personaggi come i vicini di casa, i noiosi Campbell da frequentare in mancanza di meglio, i colleghi nullafacenti di Frank, compagni di bevute e insoddisfazioni o la famiglia Givins, col figlio psichiatrico a cui Yates (ma tu guarda il caso!) mette in bocca parole di verità cristallina e al cui  padre, in ombra per tutto il libro, viene affidato il gesto finale delle ultime righe.
Sipario.
Oppure, come diceva Joe Gideon in quel meraviglioso film che è all that Jazz: Si va in scena.

Dettagli tra le righe

UNO All’inizio del libro la signora Givins porta in regalo a Frank delle piantine di sedo per ornare migliorare il terreno sassoso all’inizio del vialetto. Il sedo è una pianta resistente, sopravvive anche in un ambiente non particolarmente ospitale e non richiede particolari cure. Eppure. 

A fine libro, le piantine verrano trovate in cantina morte, secche, ancora nella cassetta nella quale erano state consegnate.

 

DUE Appena trasferiti a Revolutionary road, Frank inizia a lastricare il viottolo nel giardino davanti all’ingresso. 

Yates ci torna per tre volte su quel viottolo mai terminato. 


Tipi e dintorni

La prima versione italiana del romanzo è del 1964. Bompiani la fece uscire con il titolo “i non conformisti”.
Per rivedere Revolutionary Road sugli scaffali dobbiamo aspettare il 2004, quando Minimum fax (grazie, grazie, grazie!) lo ripropone nella collana I quindici e ora, sempre con la traduzione di Adriana dell’Orto rivista da Andreina Lombardi Bom, nella collana minimum classics.


Epigrafi mon amour!

Ahimè! Quando la passione è insieme umile e selvaggia!
Yates sceglie Keats che sceglie Boccaccio.
I versi, che in inglese suonano così “Alas! when passion is both meek and wild!”, sono tratti da Isabella e il vaso di basilico (Isabella and the Pot of Basil) che oltre ad esssere un’opera di Keats ispirata a una novella di Boccaccio è anche un quadro, dipinto dal preraffaellita William Holman Hunt e conservato alla Laing Art Gallery.


“Revolutionary Road” di Richard Yates. Traduzione di Adriana Dell’Orto. Prefazione, extra e profilo bibliografico a cura di Andreina Lombardi Bom. Minimum Fax . Spaziomentale per TheBookadvisor.

Roberta Frugoni

Copywriter per lavoro e passione. Amante dell'arsenico e vecchi merletti, mangio la pasta solo se è al dente e mi lascio conquistare dalle riletture. Nel tempo libero fotografo e collaudo amache.

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