Si è come si è. Buoni, maligni, folli, scurnusi, impavidi, non c’è alcuna legge per essere se stessi. Esiste il buon senso, il senso della misura, per tutto. Si può migliorare o imbruttire il proprio aspetto, il carattere invece va da sé. A volte si smussa, più che altro per compiacere qualcuno, senza alcuna convinzione di riuscirci appieno. Perché, in fondo, diversi da come siamo non vogliamo essere. A noi sta bene così, gli altri se ne faranno una ragione. Ed amen.
Certo, più si è se stessi più si è sulla bocca di molti. C’è sempre da parlare o sparlare, per un motivo o un altro, quindi tanto vale essere fieri del proprio nome. La nomea, invece, non conosce bocche vacanti, non è mai a digiuno, e ha sempre fame di chiacchere. E queste più vanno avanti, più corrono, più si trasformano sino a diventare un’altra cosa: fantasticherie o malelingue. Chi incappa nella stretta morsa delle malelingue avrà spogliata anche l’anima e stenterà a riconoscersi. Se poi alle spalle hai una famiglia stranissima, per gli occhi di molti, non hai scampo. Le dicerie diventano fiamme che puoi spegnere o alimentare ulteriormente, ma non puoi rinnegare chi sei.
Combattere i pregiudizi
C’è tanto fiato nel romanzo di Simona Lo Iacono. Quello di Felice che riesce a parlare soffiando su uno strumento ingegnoso che proietta poi le lettere sul muro. Ma anche il fiato di farcela, di essere accettati per quello che si è. Persone normali, come tutti. Forse più sognatrici e amanti delle storie, della cultura, perché queste affinano le emozioni. Sincero, ammaliante lo stile della scrittrice che non delude con un romanzo che parla all’anima.
“Le streghe di Lenzavacche” di Simona Lo Iacono, Edizioni E/O. Dream Book.