Interviste

Luca Tarenzi: “Evadere dall’inferno è un atto dovuto”

Luca Tarenzi, scrittore di romanzi fantasy e saggi, traduttore, editor, consulente editoriale e giornalista, intervistato da Eugenio Saguatti per The BookAdvisor.

Luca Tarenzi, due parole per chi non ti conosce. Scrittore di lungo corso, saggista, traduttore, consulente editoriale, studioso di religioni e folklore. Questa l’ho rubata su FB, mi sembra che dica molto di te: “Io sono basilarmente un sociopatico. L’unica ragione per la quale non hanno ancora cercato di mettermi in galera è che so che cosa non devo fare o dire per non turbare le persone che ho intorno. Ma, tolto questo, il mio senso di giusto e sbagliato c’entra poco o nulla con quello che sento esprimere alla gente.” Hai altro da aggiungere?

“Sotto a questo post sono stato accusato di volermi solo sentire speciale quando in realtà tutti gli esseri umani si sentono in questo modo. Sono felice che la mimesi abbia funzionato così bene: la galera è sempre più lontana!”.

È appena uscito il tuo “L’ora dei dannati – L’abisso”, primo di una trilogia. “Sono cinque, la feccia della razza umana. Virgilio li guida. E hanno un piano: evadere dall’Inferno.” Così dice lo strillo in copertina. Diciamo subito come va a finire, così ci togliamo il pensiero?

“Ma allora tu vuoi proprio farmici finire, in quella galera… Vabbè, faccio il bravo anche stavolta: mi spiace ma per sapere come va a finire dovrete aspettare il 2022, quando uscirà l’ultimo libro. La cadenza sarà annuale: il primo adesso, il secondo tra un anno, il terzo un anno dopo ancora. Per ora ti posso dire solo questo: la strada di quei cinque poveracci è molto, molto più lunga di quanto loro stessi abbiano sospettato…”.

Dobbiamo aspettarci un crossover tra Fuga da Alcatraz ed Hellboy?

“Rende abbastanza l’idea. Quando parlavo del libro durante la sua (lunghissima) stesura lo definivo “Prison Break meets Dante’s Inferno”.

Possiamo dire che è letteratura d’evasione?

“Quant’altre mai! Il punto è che di storie di dannati che scappano dall’inferno ce ne sono tante nella letteratura fantasy, così come ci sono tanti inferni ispirati a quello dantesco, ma per quanto ne so io (ho fatto anche ricerche in merito) le due cose non erano mai state messe insieme prima d’ora. In particolare, parecchi anni fa ero rimasto colpito da un romanzo di Hal Duncan, inedito in Italia, intitolato proprio “Escape from Hell!”, in cui l’Inferno era immaginato come una prigione moderna. Da lì, con il tempo, ho maturato l’idea che lo stesso Inferno di Dante poteva essere visto proprio in questo modo: come un carcere di massima sicurezza o un campo di concentramento, con i diavoli come secondini e i dannati come detenuti. E a quel punto la storia della loro fuga non poteva che diventare il racconto di un’evasione, ma proprio con tutti i tratti caratteristici del genere: il piano complicato e pieno di svolte improvvise, la tensione tra i membri della banda, l’infiltrato e così via. Rileggendo l’Inferno, mi sono reso conto che c’era già tutto quello di cui avevo bisogno, praticamente non dovevo inventare o aggiungere nulla: Dante mi aveva già dato il setting perfetto e il cast migliore che potessi desiderare!

Nei ringraziamenti citi Caparezza; la sua canzone “Argenti vive” è stata fonte di ispirazione. Nei prossimi due capitoli a chi sei debitore? Agli AC/DC per Highway To Hell? Ai Led Zeppelin per Stairway To Heaven?

“Caparezza con la sua bellissima e cattivissima canzone su Filippo Argenti mi ha acceso la scintilla iniziale: l’idea che si potessero caratterizzare in maniera moderna i personaggi del poema, renderli “vivi” per un lettore di oggi, portarli fuori da quella dimensione di distacco poetico che necessariamente caratterizza l’opera dantesca. Io volevo che i lettori si rendessero conto, sulla nuda pelle dei miei personaggi, di che luogo inconcepibilmente mostruoso sia in realtà l’Inferno della letteratura medievale: volevo che il dolore, l’orrore, la follia si sentissero sul serio, non come simboli e metafore poetiche ma come spaventose realtà fisiche. Per questo durante la stesura del primo libro ho ascoltato le musiche più cupe che sono riuscito a recuperare, da certe opere di musica classica a parecchio black metal. Per il secondo capitolo della trilogia, che sto finendo di scrivere in queste settimane, ho virato su musica più epica, perché anche l’atmosfera della storia pian piano cambia. Per il terzo capitolo ancora non so: sarà la mia piccola sorpresa a me stesso per il 2021”.

Altra spinta, dici, sono state le illustrazioni di Gustave Doré per la Divina Commedia. Non è però la rivisitazione del viaggio di Dante, la vicenda è ambientata secoli dopo (c’è un dettaglio che ci orienta e anticipa pure qualcosa). Conclusa la trilogia hai intenzione di fare lo stesso con altri poemi? Tipo… L’Orlando fuorioso a New York? Anche quello è stato illustrato da Doré.

“Confesso che la tentazione di rivisitare altri classici della letteratura mi si è appollaiata sulla spalla da un po’ di tempo… Ho anche una bozza di idea per un fantasy storico con alcuni personaggi dei Promessi Sposi. Ma si vedrà: il momento di pensarci seriamente è ancora lontano. Però il pensiero non mi abbandona, perché una delle spinte alla base dell’Ora dei Dannati è stata proprio la voglia di creare qualcosa di nuovo ma nello stesso tempo di autenticamente italiano, che qualunque lettore del nostro paese potesse riconoscere all’istante: e cos’altro poteva essere se non il poema impropriamente (e oserei dire anche criminalmente) utilizzato come strumento di tortura didattica per generazioni di studenti?”.

Un famoso teologo diceva: “L’inferno esiste, ma è vuoto”. Sono evasi tutti?

“Mi sa di no, ma se accadesse non sarebbe male. Una riflessione che i miei personaggi fanno più volte, nella loro storia, è che la pena alla quale sono stati condannati è ingiusta sotto ogni punto di vista. Non ha una fine prevista e dunque nessuno scopo redentivo, è inumana oltre ogni dire e per finirci dentro basta un singolo errore, una parola sbagliata, un’azione impulsiva, un minuto di rabbia o di terrore o di disperazione. Quegli errori di cui l’intera vita umana è composta, dettaglio che i decisori che stanno lassù in Cielo non sembrano prendere minimamente ni considerazione. Alla luce di questo, evadere dall’Inferno non è solo la necessità disperata di chi vive nella sofferenza continua: è un atto dovuto, un trionfo morale”.

Ci presenti un Virgilio molto diverso da quello che troviamo nella Divina Commedia.

“Il Virgilio di Dante – lo sappiamo tutti per averlo sentito alla nausea sui banchi di scuola – rappresentava la ragione che guida l’essere umano nella vita. Il mio Virgilio è l’opposto: è un pazzo disperato a cui è stato tolto tutto quello che aveva, un sopravvissuto in piena sindrome da stress post-traumatico, a cui l’Inferno ha insegnato solo il dolore e la violenza senza compromessi. È il vero simbolo del tradimento del Cielo nei confronti degli esseri umani, e ne è pienamente consapevole. Per lui evadere dal carcere ultraterreno non è solo una fuga: è una vendetta contro tutte le leggi che governano l’Universo, un atto luciferino (ma giustificato) di ribellione suprema”.

Il quintetto è composto da Virgilio, Pier delle Vigne, il conte Ugolino, Bertran de Born e Filippo Argenti, quello della canzone di Caparezza. Perché proprio loro? Come li hai scelti? Cosa ti hanno raccontato per convincerti?

“Mi hanno fatto vedere cosa si poteva nascondere dietro le brevi presentazioni che Dante ci ha lasciato di ciascuno di loro. Nella mia interpretazione Pier delle Vigne diventa una mente vastissima e geniale, un seguace fanatico della pura Logica che ha terrore dei sentimenti, un cervello privato del corpo (come tutti i suicidi, è trasformato in un albero) che dipende dagli altri per poter fare qualunque cosa e ha a disposizione solo le sue parole per manipolare il mondo. Filippo Argenti è un bullo della peggior specie (Dante sarebbe stato d’accordo con me su questo), ma un bullo intelligente, che sa usare la violenza in maniera studiata ed efficace: è il compagno di cella che nessuno vorrebbe, eppure finisce per essere indispensabile non meno degli altri. Bertran de Born è un eroe caduto con un problema di gestione della rabbia. Tra tutti i personaggi è quello che meno accetta la sua condizione di dannato, che non si sente colpevole per le sue scelte in vita e che ricorda, forse meglio dei suoi compagni, che cosa significa essere umani. Il conte Ugolino è un mistero: per metà nobile medievale e per metà Hannibal Lecter, nella mia versione non parla e usa i denti i modi orribili e fantasiosi, ma sotto la barba sporca di sangue dell’uomo-bestia c’è qualcos’altro, che non tutti i suoi compagni riescono a vedere.

Mettiamo il caso: sei Minosse, il giudice dell’Inferno. Per quale categoria umana creeresti un girone apposta?

“I giornalisti. Non tutti, è ovvio, ma un numero preoccupantemente alto e troppo ben piazzato nei punti strategici in cui può fare il maggior danno possibile alla società. Ma anche in assenza di una collocazione ad hoc, l’Inferno di Dante ha comunque i posti giusti per accoglierli: la bolgia dei seminatori di discordie, quella dei falsi indovini, quella dei consiglieri fraudolenti e in qualche caso il girone dei violenti contro la Natura”.

Tutta la tua produzione letteraria poggia sul fantastico. Godbreaker, Salani; la trilogia di La guerra della discarica, Acheron Books; la serie di Severiano, il cacciatore di demoni – che hai firmato come Giovanni Anastasi – sempre per Acheron Books, solo per citarne alcuni, si muovono tutti tra il fantasy, l’urban fantasy, la fantascienza, il fanta-storico. Scriverai mai un giallo razionale, alla Agatha Christie?

“Per quanto mi piaccia molto leggerli, non credo che ne sarei in grado. È vero che finora ho scritto esclusivamente fantasy, ma qualche progetto per storie senza mostri e magia in effetti ce l’ho. In ogni caso, quando mi ci metterò sul serio sarà certamente un romanzo storico, perché in assenza di elementi fantastici ho bisogno almeno dell’ambientazione “esotica” perché la cosa riesca a interessarmi per davvero. E sarà comunque una storia d’avventura, perché io alla fin fine sono solo questo: uno scrittore di storie d’azione, che hanno come primo (anche se magari non unico) scopo divertire il più possibile chi le prende in mano”.

luca tarenziCome se la passa il fantastico in Italia?

“Bollettino medico non pervenuto. Nella migliore delle ipotesi prolifera (in tutti i sensi positivi e negativi del termine) nell’editoria minore, e più o meno si è detto tutto sull’argomento, temo. Se ci spostiamo fuori dalla produzione italiana, perlomeno negli ultimi anni ho notato un aumento della qualità media nella scelta dei titoli stranieri da importare. Resta da vedere se il pubblico del nostro paese, che non ha mai brillato per apertura mentale o lungimiranza, darà una risposta adeguata: la mia esperienza in merito mi porta a essere tristemente scettico…”.

Qualche anticipazione sui prossimi due capitoli? Qualcosa che ancora non sa nessuno? I cinque attraversano il Purgatorio e danno l’assalto al Paradiso?

“Virgilio finirà invischiato nella più improbabile tra le alleanze. Farete la conoscenza di Francesca da Rimini (ovviamente nella mia versione). A Filippo Argenti accadrà l’ultima cosa si aspetta al mondo. L’ispirazione visiva passerà da Gustave Doré a Peter Mohrbacher. Apparirà il Libro di Enoch. Vi basta o ne volete ancora? Perché io ne ho ancora!”.

Intervista a cura di Eugenio Saguatti per The BookAdvisor a Luca Tarenzi, autore del libro “L’ora dei dannati – L’abisso” Giunti Editore

 

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