Benvenuti alla nona ed ultima puntata de “i libri illeggibili”. Nei nostri appuntamenti settimanali abbiamo esplorato parte della produzione letteraria a noi meno accessibile, abbiamo analizzato alcuni dei libri, che per svariati motivi, non ci sarà mai possibile leggere (o comunque comprendere), abbiamo parlato di libri che verranno pubblicati solo tra 100 anni, di Canti perduti, di libri mai restituiti alle biblioteche, di intoccabili volumi rilegati in pelle umana, di libri misteriosi, di alfabeti sconosciuti, di evocazioni angeliche mirate a far luce sui più oscuri testi, di pagine al gusto di formaggio, di vocali proibite, di biblioteche incendiate, di tragedie maledette, di cani combinaguai, dei manoscritti distrutti dagli stessi autori, di scrittori furiosi, di ultime volontà tradite, di libri mai esistiti, di volumi perduti, di manoscritti smarriti, dei nonsense, delle lingue inventate e dei testi incomprensibili… insomma, ci resta solo un’ultima categoria da esplorare: quella dei libri che noi lettori scegliamo deliberatamente di non leggere! Dunque, prendete carta e penna, e annotate i titoli delle opere, alle quali, secondo la maggioranza, è necessario avvicinarsi con molta molta cautela.
N.b. nessun libro, classico o moderno, è stato maltrattato per la realizzazione di questo articolo.
Iniziamo col dire che esistono delle vere e proprie bestie-nere dei lettori: si tratta di quei libri che vengono maggiormente abbandonati o comunque, conclusi con grande difficoltà. Buona parte di essi, sono considerati dei capolavori o dei classici della letteratura, e, quasi all’unanimità, vengono definiti particolarmente ostici. Ad esempio, nonostante “Delitto e Castigo” e “Anna Karenina” siano riconosciuti come capolavori letterari, Lev Tolstoj e Fëdor Dostoevskij, restano una dura sfida per parecchi lettori. “Guerra e pace” rappresenta forse l’emblema della questione “illeggibilità”, con i suoi numerosi riferimenti filosofici, scientifici e storici, nonché la presenza di diversi piani del racconto, tutti perfettamente inseriti nel grande disegno filosofico dell’autore. L’opera, paragonata dallo stesso Tolstoj, alle grandi creazioni omeriche, è innegabilmente una delle più maestose realizzazioni della letteratura ottocentesca, peccato che sembra aver costretto parecchi, ad investire nella sua lettura, più tempo di quanto ne sia servito per la stesura (ben 7 lunghi anni).
A pari passo con gli autori russi, troviamo l’“Ulisse” di James Joyce. Opera fondamentale del Novecento europeo, la cui sinossi, piuttosto semplice, può decisamente trarre in inganno nascondendo le vere complessità del testo. Già solo il famoso monologo interiore di Molly Bloom, posto a conclusione dell’opera, è composto da ben otto periodi totalmente privi di punteggiatura. In esso, attraverso il flusso della coscienza femminile, vengono smontate deviazioni e ossessioni, di ambedue i personaggi maschili. Lo stile narrativo rimbalza dal parodistico al dottrinale e molte altri parti del racconto sono sviluppate attraverso il monologo interiore. Sembra che la maggior parte dei lettori, che non sono riusciti a portare a termine la lettura, abbiano avuto difficoltà a relazionarsi proprio con il flusso di coscienza, tecnica narrativa, in cui i pensieri del protagonista scorrono (sempre senza punteggiatura), in maniera insolita ed indefinita, per concretizzare al meglio, l’intricato procedimento cognitivo che si nasconde dietro i processi mentali dell’io narrante. Insomma, pietra miliare nella genesi del romanzo moderno, immancabile, imperdibile…ma secondo alcuni, anche illeggibile.
Molta pazienza, richiede anche il capolavoro della letteratura americana “Moby Dick” di Herman Melville. Non un semplice libro di avventure, ma anche, un manuale di cetologia. Sono innumerevoli le pagine che con piglio scientifico affrontano ogni aspetto delle balene: la struttura ossea, le dimensioni, le viscere, le abitudini alimentari, il carattere, le modalità di caccia e le sue utilità. Non mancano lunghe digressioni sui riferimenti alle balene nella storia e nella letteratura. Un’opera rinomatamente corposa, ricca di riflessioni sui temi portanti dell’esistenza, che necessita di un’intesa lenta, meditata e attenta alle sfumature. Cimentarsi in questa lettura, secondo alcuni piuttosto impegnativa, richiede anche un ulteriore sforzo da parte del lettore, che dovrà necessariamente accantonare ogni riflessione di carattere morale, prima di affrontare le numerose pagine in cui la sofferenza dell’animale viene meticolosamente descritta. È indispensabile tenere a mente, che la caccia alle balene è spietata e sanguinaria, e che in questo caso, si tratta solo di una lunga metafora della lotta tra l’essere umano e le sue ossessioni.
Tra i classici che richiedono un approccio consapevole, non possiamo non citare “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. L’opera s’interessa a una riflessione psicologica sulla letteratura, sulla memoria e sul tempo, con riflessioni gettate in un ordine prevalentemente sparso. Per tremila pagine Marcel, (l’io narrante) combatte contro la sua mancanza di volontà, la sua bassa autostima, la sua fragilità fisica e psichica, ed il tempo che scorre troppo veloce, fino ad arrivare finalmente, a prendere la grande decisione: scriverà un romanzo sugli uomini e sul tempo, che poi é il libro che si è appena concluso. A quanto pare, le difficoltà principali dei lettori, riguardano non solo la lunghezza dell’opera stessa, ma, soprattutto, la lunghezza delle singole frasi, smisurate sia per estensione che per complessità, piene di incisi nei quali si aprono altri incisi, ricche di digressioni che allontanano il lettore dal punto in cui si era partiti, anche per pagine e pagine. Il filosofo e scrittore svizzero Alain De Botton, ha calcolato che la frase più lunga dell’opera “se sistemata su una sola riga di una pagina formato standard, continuerebbe per poco meno di quattro metri e farebbe il giro della base di una bottiglia di vino per ben diciassette volte”. Riassumere la trama della corposissima opera, non è cosa semplice, ma di certo la più nota sintesi è quella elaborata dal critico letterario e studioso Gérard Genette: “Marcel diventa scrittore”. Estrema sì, ma altrettanto efficace.
La lista prosegue con “L’urlo e il furore” di William Faulkner, in cui l’autore fa soprattutto uso della tecnica del flusso di coscienza. L’opera è suddivisa in quattro capitoli, in ciascuno dei quali la narrazione adotta un punto di vista e caratteristiche stilistiche differenti. I racconti sono frammentari e raramente rispettano i criteri logici dei romanzi tradizionali, in particolare, per quel che riguarda la dimensione temporale. Ogni frase stampata in corsivo, corrisponde, infatti, ad uno spostamento nel tempo della storia, anche se in realtà, l’autore, avrebbe desiderato che ogni salto temporale fosse stampato in un colore differente (idea irrealizzabile ai tempi di Faulkner). Inoltre, la realtà viene descritta attraverso voci molteplici e secondo la percezione che ne ha il personaggio che in quel frangente narra. Particolarmente complessa è la parte dedicata a Benjy, affetto da un tipo di malattia cognitiva. La sua narrazione è completamente distorta, tanto che i fatti del presente e del passato si fondono e si sovrappongono, mentre la sintassi si riduce ad un vocabolario estremamente limitato. Un libro non semplice, dunque, considerato da molti il vero capolavoro di Faulkner e che l’autore stesso amò definire affettuosamente, già all’epoca della sua prima pubblicazione nel 1929, “il mio splendido fallimento”.
Innegabilmente privo di luciditá, è invece il romanzo “Pasto nudo” di William S. Burrough, che offre il racconto allucinato di un tossico, costretto nella morsa dell’impellente necessità di droga, e braccato dalla polizia nonché dagli spacciatori. Semplicemente (si fa per dire) è il racconto di uno “sballo” attraverso gli occhi dello “sballato”, o meglio, di un persona affetta dalla “Malattia”, come l’autore stesso chiamerá la sua lunga tossicodipendenza. Burrough, infatti, dopo essere stato allontanato fin da giovane, dalla famiglia benestante, a causa della sua omosessualità, dedicò l’intera esistenza alle più svariate sperimentazioni, soprattutto in merito alle droghe. Ne fu schiavo, per gran parte della sua vita e già negli anni ’40 fu internato dal suo analista, quando gli consegnò la falange del proprio mignolo, amputata con una cesoia, come “parte di un rituale di iniziazione indiano”. Negli anni successivi il ricovero, lo scrittore, continuò a far uso di morfina ed eroina, e contrasse due matrimoni: la prima moglie condivideva la sua stessa passione per le droghe, la seconda la conobbe durante un ulteriore ricovero in ospedale psichiatrico. Quest’ultimo matrimonio giunse al termine a causa di una tragedia: nel tentativo di imitare Guglielmo Tell, Burrough, (che usava una pistola invece che un arco), sparò e uccise accidentalmente la moglie. Per qualche motivo non noto, non fu mai accusato di uxoricidio, quindi si recò in Marocco, e fu ritrovato dai sui amici della “Beat generation” sommerso da fogli, sui quali, aveva annotato pensieri sconnessi e deliranti. Proprio da questi appunti rivisti e riordinati, nascerà “Pasto nudo”, pubblicato nel 1959, con la sua scrittura priva di raccordi e passaggi logici, che descrive perfettamente il mondo, così come può essere percepito dalle sinapsi “aggrovigliate” di un tossicodipendente. Tra frasi apparentemente senza senso e non correlate tra loro, la teoria del controllo delle menti che lo Stato può attuare sugli individui, la telepatia quale unico strumento per sfuggire ad esso, la guerra tra due nazioni immaginarie, e la scoperta di una nuova droga che sembra assommare in sé le caratteristiche di tutte le droghe conosciute, il romanzo non può essere annoverato tra i più semplici, ma sicuramente, tra i più psichedelici.
Altro libro definito piuttosto ostico è “Comma 22” di Joseph Heller, da cui ha preso il nome anche il cosiddetto “paradosso del Comma 22”, che può essere facilmente spiegato con l’espressione “circolo vizioso”. Il romanzo, pubblicato nel 1961, si basa sulle esperienze personali dello stesso Heller durante la seconda guerra mondiale. È ambientato in Italia ed ha come protagonisti un gruppo di aviatori che eseguono pericolose missioni di bombardamento. I membri del reparto sono costantemente soggetti ad una forte pressione psicologica, schiacciati da un ferreo regolamento militare, che riporta al suo comma 22: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.” (da qui il paradosso). Colpito da quella che oggi chiameremmo “sindrome da stress post traumatico”, il capitano del team, inizierà ad assumere comportamenti bizzarri, solo per essere riconosciuto folle e quindi inabile al volo. Il racconto, per altro, non si snoda, in ordine cronologico: i vari capitoli sono disposti disordinatamente, e coinvolgono il lettore in un vorticoso gioco di spostamenti temporali. Questo genere di narrazione serve a rispecchiare proprio il disordine nella memoria dello stesso capitano, ormai scombussolata dai traumi e intenta a rimuovere gli eventi più scioccanti, che continueranno, però, inesorabili a ripresentarsi. Il librò è ritenuto piuttosto complesso, almeno per tutta la sua prima metá, dopodiché, lo strampalato schema narrativo del capitano, sembra diventare piú comprensibile per il lettore. Che ne direste, allora, di provare a calarvi in questa folle follia?
Nell’elenco dei libri “difficili” non mancano: la Bibbia (per motivi piuttosto ovvi), “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez (per la gran mole di personaggi, molti dei quali con lo stesso nome), “La rivolta di Atlante” di Ayn Rand (un romanzo di genere filosofico e distopico basato sulla teoria del soggettivismo sviluppata dalla stessa autrice), ed ultimo, (per anno di pubblicazione): “Infinite Jest” di David Foster Wallace. L’opera, lunga oltre mille pagine, possiede un’intricata ed inusuale struttura narrativa, caratterizzata dalla presenza labirintica di molteplici narratori, da una cronologia frastagliata e poco lineare, ma soprattutto da un’imponente mole di note (388, molte delle quali note di ulteriori note), che fungono da collante tra vari livelli della narrazione. Ambientato perlopiù a Boston in un futuro imprecisato, il romanzo tocca una vastissima gamma di argomenti, tanto da essere definito un’opera enciclopedica. Probabilmente solo il commento dello stesso autore può aiutarci a comprendere al meglio il tema e lo scopo principale di tutto il romanzo: “Se il libro è su qualcosa, è sulla domanda: perché sto guardando così tanta merda? Non è sulla merda. È su di me: perché lo sto facendo? Il titolo originale era A Failed Entertainment (Un divertimento fallito), e il libro è strutturato come un divertimento che non funziona.”. Chiaro adesso?
Insomma, non sono pochi i libri, alle cui grinfie, molti lettori sentono di dover sfuggire, anche se poi, tale “colpa” viene difficilmente ammessa. Secondo un’indagine della BBC, infatti, esistono almeno 20 libri che gli inglesi, tengono in bella mostra nelle proprie librerie, evitando accuratamente di rivelare che, in realtá, non ne hanno mai letta neanche una riga. Ed anzi, sembra tendenza comune per molti lettori (e non), fingere di conoscere opere (classiche o meno) al solo scopo di apparire, forse, più colti, più interessanti, probabilmente anche piú intelligenti… insomma, bugie dette per far bella figura con gli ospiti. Tra le principali vittime di menzogne troviamo: “Alice nel paese delle meraviglie“ di Lewis Carroll, “1984” di George Orwell, “Il signore degli anelli“ di JRR Tolkien, “Le avventure di Sherlock Holmes“ di Sir. Arthur Conan Doyle, “Il buio oltre le siepe“ di Harper Lee, “Orgoglio e pregiudizio“ di Jane Austen, “Harry Potter“ di JK Rowling, il “Diario” di Anne Frank, la trilogia “Cinquanta sfumature” di EL James, “Dieci piccoli indiani“ di Agatha Christie, “Il grande Gatsby“ di F. Scott Fitzgerald ed “Il giovane Holden” di JD Salinger. A questi si aggiungono molti dei testi più ostici, di cui abbiamo parlato in precedenza, e diversi libri dell’autore Charles Dickens come “David Copperfield“, “Casa desolata“, “Grandi speranze” e “Oliver Twist“. A quanto pare, tutti libri di cui ognuno parla, ma che in pochi conoscono davvero. Per quanto mi riguarda, ammetto spudoratamente, di averne letti, poco più della metá.
Se vi state chiedendo come sia possibile sostenere una conversazione su un libro, che in realtà, non si è mai neanche aperto, beh, non avete ancora letto il saggio “Come parlare di un libro senza averlo mai letto” dello psicanalista e scrittore francese Pierre Bayard, pubblicato nel 2007. Nella prima parte del saggio, intitolata “Modi di non leggere”, lo studioso divide i testi in quattro categorie: i libri che non si conoscono, i libri che si sono sfogliati, i libri di cui si è sentito parlare e i libri che si sono dimenticati. Nella seconda parte, intitolata “Alcune situazioni di discorso” Bayard esamina le situazioni caratteristiche, in cui un lettore si troverebbe obbligato a parlare di libri sconosciuti. Nella terza ed ultima parte, troviamo, invece, i “Comportamenti da adottare” con alcuni consigli pratici per commentare un libro pur non avendolo mai letto. Certo è che parlare di libri mai neanche sfogliati, può essere quasi considerata una forma d’arte, e certamente un bell’esercizio di creatività.
Ma ora, veniamo a noi: abbiamo chiesto ai membri del gruppo facebook di the BookAdvisor, quali fossero le letture rimandate ormai da tanto tempo, e soprattutto, la motivazione di tanto procrastinare. “Spiegateci in cosa temete di imbattervi”, è stata la nostra specifica richiesta, e ringrazio tutti i partecipanti per aver fornito diverse risposte al dispettoso quesito.
Dai risultati del sondaggio, emergono libri che fanno uso di una prosa non troppo fluida, come “Pigmeo” di Chuck Palahniuk, in cui la realtà viene descritta attraverso gli occhi di un ragazzino, pigmeo appunto, che va negli Stati Uniti per uno scambio culturale. “Ed è scritto totalmente sgrammaticato, senza sintassi, con frasi simil-telegramma.”, ci spiega Luca dell’Oca, che conclude: “Leggerlo è per me fisicamente impegnativo. Devi provare a “parlare” come il ragazzino per riuscire a seguire il flusso dei pensieri, ma non ci sono ancora riuscito.”. Esempio di trama lunga, complessa, frammentata e ricca di divagazioni, è anche “L’arcobaleno delle gravità” di Thomas Pynchon, come ci suggerisce Elisa Raimondi, che commenta: “Me l’hanno descritto sempre come un romanzo folle e densissimo, che mette a dura prova anche il lettore più “temprato””. Altrettanto complesso, il “Rayuela” di Julio Cortázar, uno dei romanzi più influenti della letteratura latinoamericana contemporanea, che fa un uso intensivo del flusso di coscienza, ma che soprattutto presenta al lettore la possibilità di assemblare, secondo varie modalità, l’ordine dei labirintici capitoli del libro. “Un libro che mi intimorisce perché può essere letto in tanti modi: affascinante solo in teoria. Troppa responsabilità “costruirsi” il proprio libro.” ci riferisce Silvana Arrighi. Il senso di dovere, la paura di non cogliere tutte le sfumature dell’opera, l’importanza che si conferisce all’autore, sono, invece, le motivazioni che più allontanano il lettore dai grandi (e più complessi) classici, quali: “La montagna incantata” di Thomas Mann, “Ulisse” di James Joyce e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust (proposti rispettivamente da Paola Antronaco, Raffaella Patrignani e Alessandra Prinzi). Ad ogni modo, dal sondaggio si evince che esistono ancora parecchi altri motivi per temporeggiare di fronte ad una lettura, come la mole del libro e la mancanza di “tempo di qualità” che si ha a disposizione per affrontarla (Alessandro Oricchio), il timore di restare delusi o la necessità di un naturale distacco da uno scrittore tanto amato e del quale si è già praticamente letto quasi tutto (Simona Sevà), oppure, semplicemente, si attende, senza una ragione specifica, come ci confessa Michele D’Apuzzo che scrive “Una motivazione precisa non c’è, il rinvio è diventato una sorta di rituale inconscio : lo prendo, lo riposo ed inizio un altro libro.” Ad ogni modo, i romanzi più votati, che scalando la classifica e si aggiudicano i primi due posti tra i libri più temuti, sono: “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline, e “Infinite Jest” di David Foster Wallace. Se il primo sicuramente intimorisce, come commenta Antonella Russi, il secondo sembra essere nelle librerie di tanti (tantissimi) lettori, intatto, mai letto, ma considerato anche incredibilmente prezioso, come riferisce Paola Mazzon. Ovviamente esistono eccezioni alla regola, ed alcuni membri del gruppo sono riusciti a portare a termine la lettura tanto temuta, come Chiara Rufino che sintetizza così la sua esperienza: “Ci ho messo 4 mesi a leggere “Infinite Jest”. Mai più!”.
Vorrei concludere questo ultimo appuntamento, tralasciando per un attimo quelle opere che (a causa di forza maggiore) non possiamo leggere, per posare lo sguardo sulle lunghe pile di libri che accompagnano le nostre giornate, sui lettori e-book stracolmi, sul giornale che abbiamo appena sfogliato, sulla notizia che abbiamo commentato, sulla poesia che abbiamo stretto al petto nei giorni più bui, sulla frase che portiamo tatuata più sul cuore che sulla pelle, su quel pensiero che abbiamo appuntato e di cui forse un giorno scriveremo. Le nostre libertà inalienabili, scontate il più delle volte, ma di cui oggi, più che mai, dovremmo cogliere il valore. Per noi stessi, per chi di libertà ne conosce poca, per chi non ne conobbe mai e per chi ancora lotta per averne. Quindi, nell’attesa che il mondo diventi un posto migliore per tutti, vi auguro una vita piena di libri che vi facciano star bene quando siete a letto con l’influenza, che vi inondino di positività quando siete di fronte all’ennesima salita e che vi tengano la mano quando poi arriverà la discesa. Libri che vi facciano piangere ogni volta che ne sentirete il bisogno, che vi facciano ridere offuscando ogni tristezza, che vi tengano compagnia quando siete soli anche tra un milione di persone. Vi auguro libri sporchi, macchiati dai pastelli usati per colorare tutto ciò che vi ha fatto innamorare, dai cibi dell’infanzia che cancellano la nostalgia, dalla sabbia sollevata da un bambino che gioca in spiaggia, da un buon vino bevuto al tramonto, dal sudore di una lunga corsa, dall’erba bagnata di un prato in primavera, dalle gocce di un profumo che plachi l’assenza. Vi auguro qualcuno che vi distragga dalle vostre letture solo con un sorriso e che poi vi riporti ad esse con sincero amore. Vi auguro letture bellissime da mozzare il fiato, amori struggenti, avventure incredibili, viaggi fantastici ed il tempo per godervi ogni nuova vita che sceglierete di vivere, perché “Un romanzo non è un’allegoria… E’ l’esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. E’ così che si legge un romanzo: come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare.”
(Cit. “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi).
I libri illeggibili una rubrica a cura di Angela Finelli per The BookAvisor.
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