Canti perduti della Divina Commedia, presidenti che non restituiscono libri e volumi rilegati in pelle umana [foto]

Per la nostra rubrica “I libri illeggibili” oggi parleremo dell’importanza delle copie. Su rotolo, pergamena, carta o supporto digitale che sia, fatto sta che senza di esse ci saremmo persi davvero tante opere non da poco. Basti pensare che non è mai stata trovata alcuna copia autografa della “Divina Commedia”, quella che noi oggi leggiamo, in effetti, proviene esclusivamente da copie manoscritte redatte nel tempo.

Dunque, mille grazie ai copisti che con il loro gravoso lavoro ci hanno permesso di leggere opere di cui altrimenti avremmo perso ogni traccia… eppure, ricordiamo tutti “Il nome della rosa”, Jorge da Burgos ed il tentativo di evitare ad ogni costo che il mondo conoscesse il libro della Poetica di Aristotele. Sorge, dunque, spontanea qualche domanda: quante opere sono per noi oggi illeggibili, perché volutamente non ne furono mai realizzate copie? Ma soprattutto, quanto le copie sono fedeli agli autografi e quante di esse contengono volute omissioni o rimaneggiamenti? 

La sacra di San Michele che ispiró “Il nome della rosa”
(2013, Elio Pallard, CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons)

In definitiva, siamo certi di leggere la Commedia così come Dante la scrisse? O, pensando alla sua forma originale, dovremmo annoverare anch’essa tra i nostri libri illeggibili? Se ci soffermiamo già solo sull’operazione della trascrizione manuale in sé, è logico pensare che essa non possa essere svolta senza commettere errori. Inevitabilmente in un testo, soprattutto se molto lungo, verrà saltata qualche parola, oppure verrà ripetuta. Potrebbe anche capitare di leggere male e modificare completamente il testo originale o piuttosto si potrebbe scegliere deliberatamente di modificare il testo per evitare problemi di censura. Va tenuto conto anche del fatto, che soprattutto nel Medioevo, i testi venivano spesso rimaneggiati, riassunti, tradotti, insomma, ad oggi, spesso ci si trova di fronte ad un vero e proprio puzzle di manoscritti che non corrispondono tra loro. I filologi impiegano anni ad analizzare le varie fonti, per cercare di capire se una pagina o una singola frase risalga ad una versione più antica oppure se si tratti di un’aggiunta partorita dalla fantasia di un copista anonimo.

Ritornando alla Commedia, Boccaccio ci racconta nel suo “Trattatello in laude di Dante” che, dopo la morte del Poeta, i due figli Pietro e Jacopo si accorsero che dal manoscritto autografo in loro possesso, mancavano gli ultimi 13 canti del Paradiso. Già… niente “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Il padre li aveva nascosti? Dove? I figli li cercarono invano senza risultati per un anno, quando Dante decise di apparire in sogno a Jacopo per rivelargli dove cercare quei canti: in una crepa nel muro della casa di Ravenna, lì dove aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita. Ancora una volta, la domanda sorge spontanea: sarà stato realmente il Sommo Poeta l’autore di quei 13 canti? Certo è che Boccaccio era noto per gli elementi di fantasia con i quali adornava quello che scriveva, anche se proveniente dalla realtà, quindi non stupisce che abbia scelto di raccontare la vicenda in un modo che oggi considereremmo piuttosto fantasioso….ma… insomma, diciamolo, un dubbio resta.

Canti perduti della Divina Commedia
Estratto del XXVI capitolo del “Trattatello in laude di Dante”

Ci lascia giustamente basiti anche solo l’idea che qualcuno avrebbe potuto scrivere ben 13 canti spacciandosi per il Sommo Poeta, eppure, non sarebbe l’unico caso della storia. Un esempio è “La guardia bianca” di Bulgakov, che venne pubblicato a puntate nel 1924, della rivista “Rossija”. Peccato che dopo la pubblicazione dei primi tredici capitoli la rivista venne chiusa ed il romanzo restò senza un finale. Ma quando accadde la magia? Quando pochi anni dopo, una casa editrice di Riga (Literatura) mise in circolazione la propria edizione “completa” dell’opera con un finale scritto da un letterato sconosciuto che apportò, tra l’altro, anche modifiche a scopo ideologico, tagliando intere parti di testo. Nella sezione dei manoscritti della Biblioteca di Stato Russa è conservato l’esemplare di Riga del romanzo, con un’annotazione a matita a pagina 194: “Da qui le assurdità scritte da non si sa chi.” Si ipotizza che la firma sia dello stesso Bulgakov. 

E se a questo punto decidessimo di affidarci solo ed esclusivamente agli autografi per evitare ogni possibile corruzione? Beh… in quel caso diverrebbero illeggibili un bel numero di opere oltre alla già citata Commedia: l’Eneide, tutte le opere di Shakespeare… la Bibbia… Inoltre, dovremmo fare i conti con problemi di natura tecnica, logistica, e potremmo dover prendere parte a ricerche estenuanti per volumi non ufficialmente perduti, ma neanche propriamente conservati. Non parliamo di libri di cui si è persa traccia nel tempo, ma di libri letteralmente smarriti. Il trattato di politica intitolato “The Law of Nations”, ad esempio, ufficialmente, è sempre stato conservato nella New York City Library, ma per oltre 200 anni, il testo non è stato reperibile. In effetti fino al 1789 era alla biblioteca newyorchese, ma il 5 maggio fu dato in prestito e mai restituito. Affare gravissimo quello della mancata restituzione alla biblioteca e noi librofili ne sappiamo qualcosa! Ma chi avrebbe mai potuto commettere questa atroce mancanza? Nientepopodimeno che… George Washington. Esattamente lui, il primo Presidente degli Stati Uniti d’America che avrebbe dovuto restituire il libro in questione entro il 2 novembre del 1789. Se non lo avesse fatto, avrebbe dovuto pagare una penale di 2 pence al giorno. Non fece neanche questo. Nel 2010, dopo un prestito lungo appena 221 anni, i curatori della casa di Washington a Mont Vernon, trovarono il libro e lo restituirono alla biblioteca, la quale gentilmente decise di non addebitare la multa di 300mila dollari che gli eredi avrebbero dovuto corrispondere. 

 Statua di George Washington
(Petr Kratochvil, CC0 Public Domain, Public domain pictures)

Lanciarsi alla ricerca del libro perduto potrebbe, poi, non essere il vostro unico problema. Potreste infatti trovarvi, nelle condizioni di giudicare un libro illeggibile, solo per vostra libera scelta personale. Impossibile, direte… ma avete mai sentito parlare di bibliopegia antropodermica? Si tratta di una tecnica di rilegatura che prevede l’utilizzo di pelle umana. No, non è un’invenzione dei film horror!

All’Università di Harvard è conservato dal 1954 un volume di poesie del poeta francese Arsène Houssaye “Dei destini dell’anima”. Ad un attento esame del libro, gli esperti hanno scoperto un’annotazione lasciata sul manoscritto dall’amico dell’autore, il dottor Ludovic Bouland, che scrive: “Un libro sull’anima umana merita di avere una copertura umana“. In effetti sembra che la copertina della raccolta apparisse fin troppo morbida e tenera per provenire da qualche animale, per cui è stata sottoposta ad una perizia e, dopo uno studio meticoloso dei campioni, si è accertato che il libro fosse effettivamente rilegato in pelle umana. Si ritiene che i primi libri rilegati in pelle umana siano comparsi nel Medioevo, ma che già nel 18° secolo non fossero più una novità, anzi, il massimo dell’eleganza era considerato l’uso di un manuale di anatomia la cui copertina fosse rilegata in materiale proveniente direttamente dalla sala anatomica. Altre volte erano invece i parenti di un defunto a chiedere di rilegare un libro con la pelle del caro estinto. Joseph Zaensdorf pubblicò a Boston nel 1892, una raccolta di litografie “Danza della morte” e in una nota spiegò dettagliatamente come dovette lavorare le due pelli umane utilizzate per la rilegatura. Si trattava, infatti, della pelle di due uomini diversi, una più scura dell’altra, estratta da due cadaveri trovati nei dormitori pubblici, quindi campioni di qualità non eccelsa, secondo Zaensdorf. E ancora: il ladro James Allen diede in eredità la sua pelle perché venisse usata come rilegatura del libro contenente i suoi numerosi crimini. La pelle di un uomo impiccato in Gran Bretagna, venne, invece, utilizzata per rilegare una raccolta delle poesie di John Milton, e, a quanto pare, potremmo citare ancora parecchi esempi del genere. Ma eccoci giungere ad una nuova domanda: tenendo conto che la struttura della pelle umana non si distingue in alcun modo dalla pelle di altri mammiferi se non sottoposta a specifiche analisi, quanti manoscritti rilegati in pelle umana nasconderanno le nostre biblioteche? E voi siete proprio certi di volerci mettere le mani?

Canti perduti della Divina Commedia
Volume rilegato in pelle umana conservato a Londra
(2018, Wellcomeimages, CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons)

Per concludere, ecco cosa abbiamo imparato da questa seconda puntata della nostra spaventosa rubrica: dietro ogni libro leggibile può nascondersi un libro che in realtà non lo è, non giudicate i libri dalla copertina, ma se sono rilegati in pelle magari pensateci un po’, e soprattutto, se dimenticaste di restituire un libro alla biblioteca, attendete poco più di due secoli ed eviterete la multa.

I libri illeggibili una rubrica a cura di Angela Finelli per The BookAvisor.

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