“Per dieci minuti” di Chiara Gamberale: storia di una rinascita

Succede. 

Succede all’improvviso che un avvenimento (o più) della nostra vita ci conducano verso una chiusura interiore, una corazza protettiva, “la bolla”, che estranea, esclude e lentamente esilia dal mondo donando l’agio di una falsa difesa. Uscirne o, almeno, permettere a qualcosa di entrarvi, è una battaglia sanguinaria della quale resteranno solo frammenti, frustrazione e schegge appuntite. È meraviglioso e terribile scoprire che appena fuori da essa, incontreremo finalmente noi stessi. “Ci sono periodi in cui niente riesce a fare breccia nella bolla di smarrimento dove siamo finiti. Succede dopo uno strappo, o se proprio non riusciamo ad abitare una condizione in cui ci ritroviamo, ma non riusciamo nemmeno a modificarla: giorno dopo giorno fra noi e il resto del mondo, senza che ce ne accorgiamo, si forma una membrana sottilissima, invisibile e però ostinatamente impermeabile. Noi rimaniamo dentro alla membrana e il resto del mondo rimane fuori. Non arrivano gli sguardi che potremmo incrociare per la strada, non arrivano i tam tam dei tamburi lontani che altrimenti ci farebbero sognare, le battute che altrimenti ci farebbero ridere, le confidenze che ci farebbero commuovere; le persone parlano, ma a noi sembra solo che aprano la bocca, di quello che dicono non arrivano i morsi, non arrivano le carezze. Non arriva, appunto, niente.” 

Basta. 

(2018, Nathan Dumlao, Unsplash License)

Basta un istante, una parola, una telefonata, una notte, per distruggere un’intera esistenza. Per far pensare che la vita non abbia più senso e che resti solo “Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su cui girare aveva lo smarrimento.” Basta una frazione di secondo per cadere nel vuoto, come una mano che ha smesso di stringerne un’altra, proprio sull’orlo del precipizio, senza neanche dirle addio. 

 Attimo. 

Pensiamo di dedicare lunghe riflessioni alle scelte più importanti della nostra vita, eppure, i più grandi cambiamenti avvengono in un attimo soltanto. L’innamoramento, la felicità, un sorriso spontaneo, la morte, un salto nel vuoto, il primo grido con cui veniamo al mondo, tutto avviene in un battito di ciglia, giusto il tempo di un sospiro (il primo o a volte l’ultimo). 

“Basta davvero un attimo, no?” 

“Per fare che cosa, dottoressa?” 

“Perché i nostri schemi emotivi e mentali, da cui l’inconscio si sente protetto e che consideriamo i confini della nostra identità, si rivelino in realtà dei limiti.” 

 Vuoto. 

(2018, Kristina Tripkovic, Unsplash License)

La nostra vita è riempita da cose, persone ed emozioni, spesso più che da noi stessi. Ci sono momenti in cui tutto ciò che era, sembra sparire di colpo, lasciando nient’altro che un vuoto incolmabile. Diventa, a quel punto, quasi impossibile immaginare un futuro felice, pensare che quei posti vacanti, abbandonati dai cuori di un tempo, possano in qualche modo riempirsi. Restiamo così pieni di buchi da non riuscire più a ricomporre la nostra immagine intera, e senza accorgercene, allunghiamo le braccia, allarghiamo le mani, stendiamo le dita, per tenerci stretto ogni più piccolo granello di quel che resta. 

“E allora prova a guardarlo negli occhi una buona volta, il vuoto.” 

“Sono brutti.” 

“Chi?” 

“Gli occhi del vuoto.” 

Consapevolezza. 

Il dolore è un nemico contrastabile solo se se ne riconosce il volto. Ogni giorno siamo circondati da cuori che si frantumano, da occhi che si bagnano e da sogni che si crepano, poche persone, però, sarebbero veramente in grado di dare un nome alla propria sofferenza, o di riconoscere realmente dove finiscano le false certezze ed inizi l’estenuante ricerca di protezione dal mondo. Non si tratta di riflessione, è più una presa di coscienza: il primo passo per rimettere insieme i corpi smembrati dalle illusioni. “Siamo cresciuti insieme: così pensavano tutti, così pensavamo noi. Ma la verità è che non si cresce insieme perché capita o per magia. Bisogna stare, anzi, molto attenti. E se uno dei due cresce anche solo di mezza consapevolezza più in fretta dell’altro, ma l’altro anziché rincorrerlo ci rimane male e corre da un’altra parte, corre a New York, poi è un disastro ritrovarsi.” 

Prospettiva. 

Nel dolore, i tempi, le reazioni, le sensazioni, le scelte, la semplice definizione di giusto e sbagliato, perdono il senso che avevano un tempo. La nuova (non)vita cambia la prospettiva e tutto assume una colorazione differente. Così, anche un giorno solo peserà quanto un anno intero, la reazione che non ci era mai appartenuta diventerà nostra e la parola mai detta si poserà, finalmente, sul bordo delle nostre labbra. Nella sofferenza di aver perso si finisce, dunque, per non riconoscersi, e nulla è più difficile che tenere a mente quanto ciò sia indispensabile per ritrovarsi. È vero, mutiamo, nel tempo, i nostri corpi ed il nostro agito, ma la nostra essenza (o anima se preferite) resterà sempre la stessa. “Tantissimo che non ci vediamo: tredici giorni. Tanto, tantissimo tempo per chi aveva deciso di passarlo insieme tutto quanto, quello che c’era. Il tempo. Per chi, insieme, tutto quanto lo passava.” 

Chiara Gamberale

Chiara Gamberale, ispirandosi, in parte, alla propria esperienza personale, attraverso una scrittura diretta, piena, ma semplice più della vita, insegna una delle cose più preziose: bisogna perdere tutto per trovare ogni cosa. Rimasta sospesa nel vuoto della solitudine, l’autrice (come racconta in prefazione) inizierà un gioco di rinascita: 10 minuti al giorno da dedicare a sé stessa, ad esperienze che non aveva fatto prima, a qualcosa che la faccia finalmente sentire viva. Nascerà così la Chiara protagonista e voce narrante di questi giorni di esperimento/guarigione. Una sorta di diario dei 10 minuti giornalieri, fusi e confusi ai ricordi del passato. Attraverso i suoi occhi ogni cosa perderà il nome, diventando “Mio marito”, “la Mia casa”, con la M maiuscola, come non avessero altra identità al di fuori della protagonista. Di lei, che ha bisogno di avere controllo per non ferirsi, che non molla la presa per non abbandonarsi all’oblio,  incompleta soprattutto per la difficoltà a pensare a sé come individuo più come parte di un insieme. Sopravviverà infine, Chiara, e questo non anticipa affatto il finale del romanzo, perché, in fondo, lo sappiamo, noi sopravviviamo sempre. “Vorrei assicurarle che non c’è verso: dentro momenti come questo bisogna cadere con le braccia, le gambe, il cuore, i polmoni. Tutto. Bisogna andare in fondo, bisogna marcire. Vorrei prometterle che non lo sa, che ora non può immaginarlo: ma arriverà il giorno in cui scoprirà di essere sopravvissuta.” 

L’ho detto a Chiara, lo ribadisco a chi legge, lo ripeto a me stessa: scavando tra la macerie troverai te. Sei ancora luce. Ti rialzerai, più fiera che mai. 

“E noi dobbiamo saltare. 

Nudi. 

Saltare. 

E basta.” 

Si diventa così sordi, quando la paura di perdersi supera la voglia di trattenersi…

“Per dieci minuti” di Chiara Gamberale, edizione Feltrinelli.

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