“NON LASCIARMI” di Kazuo Ishiguro
(Einaudi)
Mi viene da definire questo libro come un bellissimo libro “iceberg“: quello che Ishiguro ci dice, quello che ci mostra, è solo la punta di una narrazione che va molto in profondità, che vive nascosta, che non si vede ma si percepisce, che lavora in sordina, che sta lì, sepolta e monolitica, in attesa che tu capisca.
Presagio di dolore senza climax
Quando ho iniziato a leggere questo romanzo ho avuto subito chiaro in mente che mi avrebbe portato in un luogo dove non sarei voluta andare (d’altronde è proprio questo il senso delle distopie e ucronie), ero disorientata e non capivo esattamente cosa mi stesse raccontando, ma “sentivo” un presagio di dolore, di tristezza per la precisione… ed ho proseguito la lettura avida di tutti quei piccoli disvelamenti che Ishiguro lascia cadere in ogni pagina, quasi per caso, senza darvi troppo peso, in attesa di un acme che, pensavo, mi avrebbe fatto a pezzi.
Andavo avanti convinta che ogni pagina fosse il preludio di una grande rivelazione, ma quell’apice che mi aspettavo, quell’epifania capace di rivelarsi all’improvviso e scuotermi nel profondo non è arrivata, non nella maniera che pensavo.
All’inizio ci sono rimasta male.
Ma poi ho capito… ho capito che questa storia non aveva bisogno di un climax crescente per generare stupore, perché è già intrinsecamente agghiacciante nella sua concezione e Ishiguro non intende raccontarci il male, ma ci porta per mano direttamente “dentro” di esso.
E il male non sempre ha l’aspetto di un mostro, non sempre è riconoscibile da lontano, a volte si mimetizza con la vita di tutti i giorni, con una scuola che sembra proteggerti e formarti (per diventare cosa???), con dei compagni che rappresentano tutto quello che hai, che sono la tua famiglia, i tuoi amici, i tuoi complici, l’unica forma di amore e affetto che ti sarà concessa, degli insegnanti che dicono e non dicono, che pretendono impegno, rigore, rispetto delle regole, nel perturbante tentativo di dare un surrogato d’infanzia a chi infanzia non avrebbe avuto, per provare a rendere più sopportabile l’insopportabile, per travestire di normalità l’abominio.
Dentro l’abominio
Questo libro è l’abominio raccontato direttamente dalla voce di chi lo subisce senza neanche comprenderne la portata.
L’abominio raccontato attraverso i dettagli.
Dettagli minimi, dialoghi apparentemente senza importanza, situazioni orrorifiche raccontate con un tono privo di enfasi, rassegnato, proprio di chi, trovandosi esattamente nell’occhio del ciclone, non si accorge nemmeno della tempesta che gli ruota intorno.
Una calma apparente che fa a pugni con un destino infame e disumano.
Disumano.
Il punto è proprio questo: cosa (o chi) è umano e cosa (o chi) non lo è?
E fino a che punto non lo è?
Dolore che non si vede e non si sente, ma c’è.
Il dolore qui è come un rumore di fondo che finisci per non sentire neanche più. Ma c’è.
C’è per tutto il tempo e scava, logora, sfinisce.
Chiudi il libro con una fortissima angoscia mista a senso di pace, sai di aver letto un qualcosa di profondamente toccante, ma anche di politico: una storia di amicizia, di amore, ma soprattutto una riflessione etica e sociale che ti tormenterà anche a distanza di giorni.
“Continuo a pensare a un fiume da qualche parte là fuori, con l’acqua che scorre velocissima. E quelle due persone nell’acqua, che cercano di tenersi strette, più che possono, ma alla fine devono desistere. È la stessa cosa per noi. È un peccato, Kath, perché ci siamo amati per tutta la vita. Ma alla fine non possiamo rimanere insieme per sempre.”
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“Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, Einaudi editore . Un libro tra le mani.