“La sindrome di Ræbenson” di Giuseppe Quaranta
É veramente difficile parlare di questo libro, di ciò che racconta, senza cadere in una “semplificazione” che non gli renderebbe merito, perché questo romanzo è tutt’altro che semplice, è complesso tanto quanto può esserlo la mente umana, è ricco di riferimenti medico-psichiatrici, ma non solo, anche letterari, artistici, filosofici, musicali, denota una grande cultura e conoscenza, in senso ampio, dell’autore.
Ci sono indizi sparsi tra le pagine che poi ritrovano una loro collocazione specifica in una sorta di circolarità ben congegnata.
Lo stile è colto, ma non in maniera respingente, è elegante e arioso, misurato, nel senso che non ti urla addosso con enfasi (pur creando una tensione narrativa e un’angoscia esistenziale non da poco), anche perché la materia trattata è già di per sé “orribile“, la malattia mentale.
É una storia che ti fa precipitare in una mente che precipita.
Una mente che vive la consapevolezza che qualcosa si stia sfaldando dentro, togliendole parte dei ricordi, cambiandole il colore delle iridi, squarciando il campo visivo con una visione del mondo verdastra, portando con sé crisi epilettiche, attacchi di panico, svenimenti, amnesie, catatonia, minando il concetto stesso di identità e di coscienza, una mente in grado di percepire nettamente come la propria sanità mentale si stia smarrendo, stia cercando di abbandonare il proprio corpo per un altrove non definito, in una sorta di trasmigrazione dell’anima che però s’inceppa, lasciandola sola e disperata a fare i conti con le falle della propria psiche.
Ma ciò che scompare dalla mente di un ræbensoniano finisce nella memoria di qualcuno altro.
Una mente, quindi, che si ritrova al cospetto di una strana forma di immortalità, tanto desiderata nel nostro pensiero astratto quanto spaventosa nella sua possibile realizzazione.
Questa strana sindrome é raccontata da un narratore anonimo, uno psichiatra, amico e collega di un altro psichiatra affetto da questa malattia e, nel tentativo di comprendere l’evoluzione e le sfaccettature di una patologia mai studiata né contemplata dalla psichiatria, si ritrova a fare delle ricerche e contemporaneamente a ripercorrere anche fasi della propria infanzia all’interno di una famiglia problematica e disfunzionale.
La Sindrome di Ræbenson è un’invenzione dell’autore, ma questo non rende il romanzo meno inquietante.
La sua struttura a metà tra romanzo e saggio psichiatrico ti fa percepire la storia narrata come vera, o quantomeno verosimile… e questo scombussola un po’.
Terminologia scientifica, fotografie a corredo di tesi, note a margine… tutto esattamente come se tu, lettore, potessi davvero documentarti in merito.
Confesso che la sua lettura mi ha inquietato non poco, mi ha turbato tanto da dover centellinare i momenti dedicati a questo libro per far decantare l’ansia verso un qualcosa che non esiste, ma che s’insinua nella testa come “non impossibile“.
In fondo la mente umana ha delle potenzialità che vanno molto oltre la nostra conoscenza in merito…
Giuseppe Quaranta è uno psichiatra, e non poteva essere diversamente per poter scrivere un romanzo come questo, dove la specificità della materia e quindi anche del suo lessico specialistico viene sapientemente amalgamata ad un linguaggio alla portata anche dei non addetti ai lavori.
Un esordio decisamente brillante, originale, da cui traspare un talento palese e cristallino.
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“La sindrome di Ræbenson” di Giuseppe Quaranta, Atlantide edizioni . Un libro tra le mani.