INVENTARIO DI QUEL CHE RESTA DOPO CHE LA FORESTA BRUCIA di Michele Ruol.
I libri, quelli belli.
Quanto gli ambienti in cui viviamo e ci muoviamo e gli oggetti che ci circondano, che tocchiamo, usiamo o anche semplicemente quelli che fanno da sfondo al nostro vivere quotidiano, quanto tutto questo si impregna di noi, della nostra essenza?
E quanto indelebile è l’impronta che rimarrà su di essi anche quando noi non ci saremo più? Quanto parleranno di noi?
E cosa diranno?
Forse più di quello che siamo stati capaci di dire a parole…
Michele Ruol ci fa entrare in casa di Madre e Padre, in punta di piedi, con discrezione, e ci fa da guida tra le varie stanze pervase da una doppia e terribile assenza, quella di Maggiore e di Minore.
Esploreremo tutta la casa, dall’ingresso al garage, e incontreremo 99 oggetti attraverso cui ricostruire la storia di una famiglia, le sue abitudini, i suoi scricchiolii, le incomprensioni e i sorrisi, i viaggi, i giochi e i rimproveri, le aspettative e le frustrazioni, i desideri proibiti, i progetti e le responsabilità.
Il futuro che doveva ancora arrivare.
Dolore senza nome
Ogni oggetto aggiunge un tassello, ed ogni tassello va a completare il mosaico di un dolore, un dolore immenso, quel dolore che non dovrebbe esistere, per il quale non è mai stato trovato un nome, così forte e indicibile che infatti non viene mai nominato.
C’è, c’è in ogni angolo di stanza, in ogni soprammobile, nei fogli della stampante, in una cornice d’argento, nel rumore delle noci rotte con le mani, nelle calamite sul frigo, negli occhiali a specchio, nella carta rossa dei Lindor lasciata sul tavolo dopocena, nella tastiera del pc usata per fingersi chi non c’è più in un ultimo, disperato tentativo di sentire meno l’assenza, il vuoto, la voragine, il buco nero che inghiotte tutto.
C’è il dolore, ma è come un urlo muto, come se qualcuno durante la visione di un film drammatico e straziante, togliesse l’audio.
Non lo senti con l’udito, ma risuona in ogni cellula del tuo corpo e della tua mente, s’insinua in ogni cosa, aleggia nell’aria.
Ma di dolore non si muore…
Ruol ci mostra come di dolore non si muore, si sopravvive, a fatica, immergendosi nel lavoro o immobilizzandosi, estraniandosi da tutto e tutti, barricandosi nei silenzi che diventano fratture, crollando miseramente e poi ricostruendosi un pezzetto alla volta, impastando la vita che rimane con la cenere della sofferenza.
E infatti proprio dalla cenere della foresta bruciata la stessa notte dell’incidente di Maggiore e Minore, sono rinati loro, i corbezzoli, da sempre soffocati dagli altri alberi.
E dai corbezzoli bisognerà ripartire quando tutto sarà perduto, quando anche la debole speranza di cercare un colpevole, un capro espiatorio, si frantumerà impattando con la verità e trasformandosi nel peso insostenibile della colpa.
“Una delle scoperte peggiori che Madre aveva fatto è che di dolore non si muore. Ti abbatte, poi ti aspetta.
C’è chi dice che il tempo cura ogni cosa. Madre non era per niente d’accordo. Ci sono cose che non si cureranno mai, tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare.”
Posso dire che questo romanzo è una meraviglia? Lo dico.
Perché oltre ad essere una storia toccante e struggente, è anche raccontata in maniera superba, con una scrittura asciutta e bellissima e una struttura che t’inchioda ad ogni rigo, trasportandoti in un prima e un dopo con maestria e talento senza mai farti perdere l’orientamento.
Non una semplice narrazione dei fatti, non un trattato sull’elaborazione del lutto, ma un romanzo potente che sperimenta nuove prospettive, percorre strade non battute, e riesce ad emozionare e divampare come un incendio che, silenzioso, devasta tutto.
Ma ci saranno sempre mattini per cui varrà la pena svegliarsi (semi-cit. dall’esergo)
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“Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol, TerraRossa Edizioni . Un libro tra le mani.