“E così tutto cade. Il muro era lungo. I muri erano lunghi, in tutto il quartiere c’erano questi lunghissimi muri con le vie che li separavano”.
Trama
Il luogo è un grappolo di vie nel quartiere dove un tempo c’era un’enorme fabbrica della Michelin e ora un centro commerciale a Torino. Un palazzo, edificato per la residenza di chi in quella fabbrica ci lavorava, sussiste ancora intatto. Lì è vissuta la famiglia di mio padre. Questa zona della città è l’argomento del mio testo, come era e come è.
Lontano da nostalgie per un passato guasto, con Acqua chiusa Voltolini concepisce nel disegno di fallimento la naturale conseguenza dell’inafferrabilità del reale, dell’abbaglio del visibile. Indugia sulle sovrapposizioni di storie per scorgere grovigli senza via d’uscita nel posare fugacemente lo sguardo sugli esiti individuali dei suoi soggetti. Il racconto è un invito a rintracciare una personale geometria del tempo nel bilico tra memoria e perdita, a fare propria la curiosità immaginativa del narratore sulla vita anteriore per riconoscere nella fragilità di un ambiente in dissoluzione una configurazione interiore nell’enigma tra salvezza e oblio, e riflettere sull’incapacità moderna di relazionarsi al paesaggio e di lasciarsi interrompere da esso. (Dalla prefazione di Alice Pisu)
“Acqua Chiusa” di Dario Voltolini: recensione
Con Acqua chiusa, Dario Voltolini ci conduce in un viaggio emotivo attraverso una Torino trasformata, perduta in una nebbia di desolazione. Dopo il grande successo con Invernale, l’autore torna a raccontarci storie di un passato che sembra scomparso, ma che vive nei dettagli. Sin dalla prefazione, di Alice Pisu, si delinea il contesto di una città che ha perso la sua anima operaia, ora sostituita da supermercati e abitazioni moderne.
Questa novella è un racconto di detriti e desertificazione, un’affermazione di vita in un luogo che, pur essendo avvolto dalla tristezza, racchiude anche una profonda poesia. Voltolini riesce a farci percepire l’eco di una quotidianità che resiste, con immagini vivide di polenta servita su una tavoletta di legno o di un padre che rolla sigarette, trasmettendo il calore di ricordi personali anche in mezzo alle ristrettezze.
L’abilità di Voltolini nel tratteggiare figure sbiadite, come quelle di Madri e Padri che si aggirano in questo paesaggio desolato, ci fa sentire la loro presenza, nonostante la loro apparente evasione dalla realtà. I personaggi, sebbene privi di spessore narrativo e di nome proprio, si imprimono nella nostra mente, rendendo tangibile un mondo di privazioni e una nostalgia per un’identità perduta.
La scrittura dell’autore è elegante e precisa, evoca un mondo che non c’è più, ma che è impossibile ignorare. In Acqua chiusa, Voltolini racconta di un paesaggio in dissoluzione e delle storie che vi si intrecciano. È un’opera che spinge a confrontarci con la fragilità del nostro ambiente e invita a riconsiderare il nostro posto in un mondo in continua trasformazione.
Acqua chiusa è una lettura che colpisce profondamente, non solo per la sua prosa incisiva ma anche per la capacità di rendere visibile l’invisibile, di dare voce a ciò che spesso viene dimenticato.
“Quel viandante lo vediamo di spalle in un lontano inverno, dopo il tramonto. Se anche incrocia altri viandanti, non li vede. Nessuno li vede”
Biografia dell’autore
Dario Voltolini (Torino, 1959) è autore di racconti, romanzi, radiodrammi, testi di canzoni e libretti per il teatro musicale. È docente presso la Holden Academy. Cura la collana di narrativa italiana Pennisole per Hopefulmonster editore. Ha pubblicato per Einaudi, Feltrinelli, Laurana, Manni, Bollati Boringhieri, La Nave di Teseo. Il suo ultimo libro, Invernale, è stato finalista del Premio Strega 2024.
“Acqua Chiusa” di Dario Voltolini, Oligo Editore Pagine 52, 13 euro. Recensione a cura di Morena Di Giulio per Lib(e)ri di leggere.
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