“La mia Ingeborg” di Tore Renberg: il romanzo premiato come miglior libro dell’anno dai librai norvegesi

Amare una persona e ammazzarla, non regge. Nella logica, nel sentimento, nella follia, non ha senso. Sperticarsi in parole cariche di passione, di un ricordo struggente, per la vittima appare più come una grande offesa. Una violenza nella violenza. Le distanze, le incomprensioni, gli attriti, i silenzi, la rabbia, possono aprire delle enormi crepe in un rapporto di coppia.

Nulla, però, può giustificare un assassinio, neanche quell’amore, che all’inizio, ci sarebbe stato e pur condiviso. Attaccarsi alla memoria serve a poco. Nulla torna come prima. L’omicida apparterrà sempre al passato. Nella sua miseria umana e nella sua forza criminale sarà ciò che ha fatto. Potrà tormentarsi nella consapevolezza di un delitto che ha messo fine ad una parte di sé, ma ne ha aperto un’altra che non appartiene a niente. Perché non ha radici, punti fissi e di origine. Carne e polvere, amore e morte. Affogare il proprio fiato nel passo di marcia che il tempo detta dopo un crimine significa sentire il tamburo della tempesta che tutto divora e nulla lascia in pace. Non si può avere indietro chi si è amato quando non c’è più. L’esercizio di equilibrio tra amare e uccidere lega la memoria degli assassini ad una fenditura che apre abissi profondi.

In La mia Ingeborg di Tore Renberg senti il tormento di un uomo, Tollak. Ormai è vecchio e solo. La sua personalità è fatta di contraddizioni: è testardo e sensibile, rude e orgoglioso. La vita per lui, dopo il fatto, non ha più senso. Si è allontanato dal mondo perché non gli appartiene niente. Solo il ricordo di un amore. Ma non meriterebbe neanche quello. Sa che è arrivato il momento di raccontare la verità ai figli. Alla fine, meritano di sapere.

Il romanzo è cadenzato dal ritmo dell’urgenza di svelare un mistero. La narrazione padroneggia una storia che svela molte più cose di quanto ne lasci su carta. 

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“La mia Ingeborg” di Tore Renberg, edizioni Fazi.  Dream Book.

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